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La prescrizione in materia di anatocismo: dalla Corte di Cassazione alla Corte Costituzionale passando per il decreto milleproroghe

L’applicazione della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24418 del 2010.

La sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n.24418 del 2 dicembre 2010 ha creato non poche difficoltà applicative. Mentre per il problema relativo alla capitalizzazione degli interessi i giudici non hanno avuto difficoltà a confermare l’illegittimità dell’applicazione di tale pratica nel caso in cui si trattasse di rapporti instaurati prima del 30 giugno 2000, con riferimento alla prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito, la questione si è fatta più complessa. La sentenza delle Sezioni Unite, in realtà, parla chiaro: infatti, le Sezioni Unite, a differenza di quanto è accaduto in passato, non si limitano a sostenere che il termine di prescrizione decorre dalla chiusura del conto corrente bancario inteso come rapporto strutturalmente unitario.

La sentenza n. 24418, infatti, formula ben altro principio di diritto. La pronuncia dispone che, quando il correntista non ha un’apertura di credito oppure ha superato il limite del fido concesso dalla banca, è indispensabile effettuare una distinzione tra le rimesse annotate sul conto. Infatti, per le rimesse finalizzate a ripristinare la provvista, il termine decennale di prescrizione del diritto alla restituzione decorre dalla chiusura del conto. Invece, per le rimesse solutorie, effettuate dal correntista con l’intento di operare un pagamento, il termine decennale decorre da ciascuna singola operazione. La sentenza in esame, dunque, non legittima a concludere semplicisticamente che, in ogni caso, il termine decennale di prescrizione decorre dalla chiusura del conto ma richiede un’ analisi del rapporto, più complessa ed articolata che, immediatamente ha messo in difficoltà i consulenti tecnico contabili. Infatti, come da più parti osservato, la ricostruzione del rapporto impone un valutazione qualitativa delle poste annotate in conto che nessun software è in grado di effettuare.

Il decreto milleproroghe.

A questo punto è intervenuto il decreto milleproroghe (d.l. n.225 del 2010 convertito nella legge n. 10 del 2011) , anomalo provvedimento normativo (peraltro, approvato al Senato con il ricorso alla fiducia) nel quale, come ormai noto, si inseriscono disposizioni relative alle materie più diverse.

Tale provvedimento ha fornito un’interpretazione dell’art.2935 c.c. del seguente tenore: ” omissis l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge”.

Per effetto della citata norma, dunque, si può conseguire la restituzione degli interessi anatocistici solo per il decennio decorrente dalle singole annotazioni a debito del correntista. Di fatto, tenuto conto che a partire dal 30.06.2000 la capitalizzazione degli interessi è legittima purchè sia pattuita nella stessa misura per gli interessi debitori e creditori e che ciò non determini un trattamento deteriore per il correntista, è evidente che ormai, per effetto della nuova interpretazione dell’art.2935 c.c., le controversie in materia di anatocismo sarebbero destinate a finire e le domande restitutorie già proposte, ad essere rigettate.

Naturalmente, a seguito della promulgazione del decreto milleproroghe, nei giudizi pendenti, le banche hanno ribadito l’eccezione di prescrizione che, in ogni caso, rientra nella strategia difensiva dalle stesse adottata. Dinanzi a tale iniziativa, sin dal 28 febbraio scorso, la difesa dei correntisti ha sollevato questione di legittimità costituzionale presso tribunali nei quali i giudici si sono riservati di decidere sul punto. Presso il Tribunale di Benevento, invece, giovedì 10 marzo 2011, il giudice, dottor Loffredo, ha immediatamente emesso un’articolata ordinanza di remissione della questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. Il Tribunale di Benevento, peraltro, non è nuovo ad iniziative volte ad eccepire l’illegittimità costituzionale di provvedimenti normativi che favoriscono gli Istituti di credito. Si ricorda, infatti, che il 4 maggio 2001 il G.I., Dott. Cusani, d’ufficio, rimise alla Corte Costituzionale la questione di costituzionalità dell’art. 1 comma 1 della legge 28.2.2001 n.24 di conversione dell’art.1 comma 1 del decreto-legge 29.12.2000 n.394 recante “Interpretazione autentica della legge 7.3.1996 n.108, in relazione agli artt. 3, 24, 35, 41 e 47 della Costituzione. In quel caso la disciplina rimessa alla valutazione della Corte Costituzionale riguardava i mutui usurari.

L’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, del Tribunale di Benevento.

Tornando all’attualità, il giudice, all’udienza del 10.03.2011 ha riconvocato il Consulente tecnico d’ufficio per integrare l’elaborato peritale alla luce di quanto è emerso dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 24418 del 2010. La riconvocazione del CTU è stata disposta solo affinchè si effettuasse un’ipotesi di calcolo senza capitalizzazione degli interessi. Ebbene, prima di affidare l’incarico al CTU, il giudice, ha affermato di dover tenere in debita considerazione la norma dell’art.2935 c.c. nell’interpretazione fornita dal decreto milleproroghe. Infatti, come eccepito dalla difesa della banca, la norma, nel caso di specie, avrebbe determinato la prescrizione del diritto del correntista a conseguire la restituzione dell’indebito.

Come si evince dall’ordinanza del 10.03.2011, secondo il giudice, la norma interpretativa in esame è costituzionalmente illegittima per le seguenti motivazioni.

La norma dell’art. 2 comma 61 del testo del decreto legge n.225 del 29.12.2010 coordinato con le modifiche apportate con la legge di conversione n.10 del 26.2.2011 è definita come norma di interpretazione autentica avente, dunque, efficacia retroattiva.

Tuttavia, la retroattività dell’efficacia di tale norma entra in conflitto con il principio generale di ragionevolezza, con il principio del divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento, con il principio della tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti per l’effetto nomofilattico delle pronunce della Corte di Cassazione, con la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico e con il rispetto e la non invasione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

Il Giudice, nell’esplicare l’argomentazione posta a fondamento della remissione alla Corte Costituzionale, osserva, in primo luogo, che l’interpretazione autentica dell’art.2935 c.c. interviene in un momento in cui le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n.24418 del 2010, hanno chiarito che la prescrizione decennale del diritto di ripetizione dell’indebito decorre dalla chiusura del conto. Secondo l’estensore dell’ordinanza in esame, la sentenza citata avrebbe, in realtà, ribadito quanto disposto in passato dalle singole sezioni della Corte di Cassazione e cioè che il rapporto di conto corrente bancario è caratterizzato da una struttura unitaria e che, pertanto, il termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito decorre a partire dalla chiusura del conto.

Il decreto milleproroghe, dunque, tenderebbe irragionevolmente ad innovare, non solo l’art.2935 c.c., ma anche le disposizioni normative relative al contratto di conto corrente.

Il dottor Loffredo, in secondo luogo, osserva che l’interpretazione indicata dal decreto milleproroghe ha riflessi processuali e, applicandosi anche al passato, viola il diritto di difesa di cui all’art.24 Cost., contestualmente, limitando le prerogative della magistratura ordinaria di cui all’art.102 Cost.

Infine, la norma in contestazione viola i principi di tutela del risparmio delle famiglie e delle imprese, entrando in conflitto anche con l’art.41 Cost. A tal proposito, il giudice si sofferma sugli effetti negativi che la norma in contestazione può produrre sull’economia nel suo complesso. Al di là del danno cagionato ai correntisti (famiglie e imprese) egli osserva che la seconda parte della disposizione introdotta dal milleproroghe ove è disposto che, in ogni caso, non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge, danneggerebbe anche gli Istituti di credito. Infatti, in virtù di tale disposizione normativa questi ultimi non potrebbero conseguire la restituzione di somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate prima di dieci anni dalla formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo finale di chiusura del conto.

Ora la parola passa alla Corte Costituzionale che, nel decidere, dovrà senz’altro tener conto anche dei molteplici riflessi che la pronuncia produrrà sull’economia di un Paese in crisi. Come rilevato dal giudice remittente il decreto milleproroghe è titolato “Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie”.Per effetto dell’interpretazione autentica dell’art.2935 c.c. formulata in tale decreto, invece, vengono frustrate le legittime pretese restitutorie e risarcitorie dei correntisti (famiglie e imprese).