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Osservazioni sull’onere della prova nei giudizi di anatocismo

Nei giudizi promossi dai correntisti allo scopo di ottenere la restituzione degli interessi anatocistici spesso si pone il problema della distribuzione dell’onere della prova tra attore e istituto di credito convenuto. Non di rado tale problematica è affrontata e risolta, nei casi concreti, ricorrendo ad una vistosa quanto ingiustificata deroga alla regola di giudizio sancita dall’art.2697 c.c. La suddetta norma dispone che “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.”

Pertanto, l’attore deve provare i fatti costitutivi della pretesa e il convenuto i fatti modificativi, estintivi o impeditivi. Tuttavia, nei giudizi di anatocismo tale regola è disattesa dal momento che i giudici, sovente, adottano provvedimenti che, di fatto, invertono l’onere della prova. In particolare si fa riferimento all’ordine giudiziale di esibizione della documentazione contabile disciplinato dall’art.210 c.p.c..

Per giurisprudenza dominante (Corte Cass. 24 marzo 2004, n. 5908; Corte Cass. 8 settembre 2003, n.13072) l’ordine di esibizione di documentazione che l’attore non ha allegato agli atti di causa, deve attenere ad uno, ovvero a più documenti, esattamente individuati. Inoltre l’attore deve provare di non aver ricevuto gli estratti conto che le Banche inviano regolarmente e di aver fatto il possibile per procurarsi la suddetta documentazione, in particolare, proponendo istanza ai sensi dell’art.119 TUB oppure ai sensi dell’art.7 del T.U. in materia di tutela della Privacy.

Laddove non sussistano le condizioni per l’ammissibilità dell’ordine di esibizione, agli atti del giudizio sono acquisiti solo i documenti contabili depositati dall’attore a sostegno delle domanda e gli strumenti di prova che la Banca riterrà opportuno depositare a sostegno delle proprie eccezioni. Diversamente, vi sarebbe un’evidente violazione del principio sancito dall’art.2697 c.c.

Come statuito dalla sentenza del Tribunale di Mantova del 2 febbraio 2009 consultabile sul sito www.ilcaso.it la incompletezza dei documenti, necessariamente, deve essere addebitata a parte attrice sulla quale incombe l’onere di fornire prova adeguata dei propri assunti.

Pertanto, nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo ove la Banca è attrice in senso sostanziale oppure nei giudizi in cui la Banca, oltre ad essere convenuta per la restituzione di interessi anatocistici, propone anche domanda riconvenzionale, è giusto che essa stessa sia onerata del deposito della documentazione contabile. Per logica conseguenza, invece, nei giudizi in cui la Banca è mera convenuta non è tenuta a depositare documentazione contabile che serve a supporto dell’avversa domanda restitutoria, né è ammissibile che venga rivolto alla Banca un ordine di esibizione avente ad oggetto tale documentazione. L’onere della prova incombe su parte attrice e ciò si trova statuito anche nella sentenza del Tribunale di Napoli n.3108 del 2008 e espressamente ribadito nella sentenza del Tribunale di Napoli n.1789 del 2008.

Alla luce di quanto finora osservato non è ammissibile nemmeno la tesi sostenuta dai correntisti in base alla quale in mancanza del primo estratto conto si deve azzerare il saldo, né quella per cui in presenza di intervalli di tempo in cui mancano gli estratti conto si deve applicare il cosiddetto saldo medio. E, in effetti, la giurisprudenza di merito e, nello specifico, il Tribunale di Mantova, nella sentenza del 2 febbraio 2009 già citata osserva che “Nel ricalcolo dei saldi dei singoli rapporti nell’ipotesi di assenza di estratti conto per un certo periodo si ritiene corretto il calcolo che considera completamente autonomi i vari periodi senza alcuna rettifica dei saldi successivi al “buco”.”

La pronuncia appena citata è solo la più recente di una serie di sentenze che possono essere poste a fondamento di tale argomentazione. Si veda, a tal proposito anche la sentenza del Tribunale di Pescara, n.78 del 2008 ove si legge“Solo una questione resta da esaminare ed è costituita dalla opzione tra i due diversi saldi finali cui è pervenuto il consulente, a seconda che si tenga o meno conto del saldo negativo del primo estratto conto disponibile che non è il primo estratto conto del rapporto di conto corrente in esame. Parte attrice sostiene che spettava all’istituto di credito produrre gli estratti conto mancanti, poiché, essendo la sola banca a detenere il conto ed effettuare le annotazioni con obbligo contrattuale di conservazione delle scritture relative; per cui tale mancata produzione non può che ricadere sulla convenuta ed il saldo di partenza deve essere zero e non tener conto del saldo del primo estratto conto disponibile. L’assunto dell’attore non può essere condiviso. Va premesso che nel nostro sistema vige il principio generale di conservazione della documentazione contabile per la durata di dieci anni (art. 2220 c.c.) e l’art. 119, ultimo comma TUB consente di ottenere da parte del cliente-correntista copia di documentazione inerente a singole operazioni se poste in essere nell’ultimo decennio.

Ora, siccome spetta a chi agisce in giudizio munirsi di tutta la documentazione necessaria per far valere le proprie ragioni, e non rinvenendosi principio in base al quale l’istituto di credito sarebbe tenuto ad una conservazione illimitata delle scritture contabili contrattuali, nulla può pretendersi dalla parte convenuta in base alla normativa vigente nell’ambito di una domanda di restituzione di indebito e rispetto ad estratti contabili che non sono stati a suo tempo neppure oggetto di contestazione; il mancato assolvimento dell’onere della prova non può che ricadere su parte attrice. Di conseguenza, i conteggi, debbono tener conto delle indicazioni di saldo del primo estratto conto disponibile.”

A cura della dott.ssa Alfonsina Biscardi