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Il presente lavoro è dedicato allo studio del dolo eventuale, una forma di imputazione soggettiva della responsabilità penale che è al centro di un acceso dibattito dottrinale sin dal 1800. Il codice penale italiano non fornisce elementi che, direttamente o indirettamente, consentano di elaborare una definizione chiara e specifica del dolo eventuale. Il concetto di dolo eventuale, infatti, non ha carattere normativo ma è stato formulato dalla dottrina e dalla giurisprudenza per soddisfare esigenze di politica criminale. Il progresso tecnico-scientifico proprio dell’ultimo secolo ha posto a disposizione dell’uomo strumenti sempre più sofisticati, dall’uso dei quali è particolarmente facile che scaturiscano conseguenze di per sé stesse non perseguite finalisticamente. L’enorme massa di informazioni attualmente a disposizione del pubblico ha reso statisticamente più frequente una intensa consapevolezza dei rischi connessi a determinate condotte; consapevolezza nella quale anche il dolo eventuale può trovare le sue radici.
Pertanto, la dottrina e la giurisprudenza, sono impegnate e divise nell’opera di chiarificazione della composizione strutturale del dolo eventuale, manifestando un vivo interesse verso questo tema. Il problema della definizione del dolo eventuale, poi, non consiste solo nel riconoscere esplicitamente, anche al livello legislativo, la sua rilevanza e nello stabilire in cosa esso consista, ma anche che cosa lo distingua dalla colpa cosciente. Il primo capitolo del presente lavoro è dedicato alla trattazione del tema del dolo. Dall’art.43 comma 1 c.p. si evince che il dolo consiste nella previsione e volontà dell’evento che è conseguenza dell’azione od omissione. La definizione codicistica di dolo, tuttavia, non è esauriente perché è necessario individuare l’oggetto e la struttura o il contenuto della responsabilità dolosa. L’oggetto del dolo è costituito dagli elementi del fatto tipico. La struttura, invece, secondo parte della dottrina consiste nell’intenzione, cioè nella volontà diretta a cagionare l’evento inteso come fine ultimo o come mezzo necessario per conseguire un fine ultimo.
Altra dottrina, invece, alla fine del 1800 ha sostenuto che il dolo consiste nella volontà della condotta e nella previsione dell’evento lesivo, cioè nella rappresentazione mentale della verificazione dell’evento come conseguenza del proprio comportamento. Infine, altra dottrina ha sostento che affinché si configuri un delitto doloso, accanto alla previsione dell’evento lesivo, occorre anche la volontarietà dello stesso. Non basta che il soggetto abbia previsto come certa la verificazione dell’evento lesivo ma è necessario che l’evento sia intenzionale, voluto. Gli elementi costitutivi della struttura del dolo, dunque, sono la previsione e l’intenzione cioè la rappresentazione e la volontà che tende ad uno scopo. Definiti l’oggetto e la struttura del dolo, è necessario ricostruire il concetto specifico di dolo eventuale attraverso l’analisi delle teorie elaborate dalla dottrina. Condizionata dal dibattito relativo alla definizione della struttura del dolo, parte della dottrina ha elaborato le teorie cognitive, secondo le quali l’elemento caratterizzante del dolo eventuale è la rappresentazione. A tali teorie sono collegati criteri di identificazione del dolo eventuale che muovono dal grado del verificarsi dell’evento e, quindi, dal grado di serietà e di concretezza del pericolo ricollegato dall’agente alla propria condotta. Così, la classica teoria della possibilità, ad esempio, ritiene sufficiente ai fini dell’imputazione del dolo eventuale, la rappresentazione della verificabilità dell’evento in termini di mera possibilità. La teoria della probabilità, invece, non fa che restringere il criterio per la configurabilità del dolo eventuale ad una previsione dell’evento come conseguenza probabile della condotta. All’opposto si pongono le teorie volontaristiche tradizionali che cercano di specificare ed estendere sempre più il concetto di volontà.
Tali teorie si basano su criteri identificativi del dolo eventuale consistenti in stati d’animo che coinvolgono la sfera dei desideri e delle speranze. Nell’ambito delle teorie volontaristiche va segnalata la teoria del consenso elaborata dalla dottrina tedesca. Secondo tale teoria si avrebbe dolo eventuale allorché, alla previsione dell’evento come possibile, si unisca una particolare presa di posizione del soggetto nei confronti di questo evento, cioè quando egli ne abbia assunto la responsabilità, vi abbia aderito psicologicamente, vi abbia acconsentito. La presenza del consenso nel soggetto agente va accertata mediante l’impiego della prima formula di Frank. In base alla prima formula di Frank per appurare se si sia in presenza di dolo eventuale allorché l’agente si sia rappresentato la possibilità del verificarsi di un evento non desiderato, si dovrebbe accertare se egli, prevedendo come sicuro il verificarsi dell’evento stesso, avrebbe agito ugualmente o si sarebbe astenuto dall’azione. In Italia l’orientamento dottrinale più accreditato in tema di definizione del dolo eventuale è quello che si basa sul criterio identificativo dell’accettazione del rischio.
Secondo la dottrina dominante il dolo eventuale è caratterizzato dall’accettazione del rischio da parte del soggetto agente. Altra dottrina, invece, ha provveduto a riproporre la teoria dell’accettazione del rischio affermando, tuttavia, che ciò che caratterizza il dolo eventuale non è la pura e semplice accettazione del rischio bensì la fisionomia e la struttura che tale accettazione assume. Il dolo eventuale si ha quando il rischio viene accettato non per pura avventatezza, leggerezza, trascuratezza, indolenza, ma a seguito di un’opzione, di una deliberazione con la quale l’agente, consapevolmente, subordina un determinato bene ad un altro. Affinchè si configuri il dolo eventuale, quindi, non basta la mera previsione del possibile verificarsi dell’evento ma è necessario, che l’evento sia considerato il prezzo eventuale da pagare per il raggiungimento del fine determinato. Altra dottrina, invece, ha sostenuto che nel dolo eventuale il soggetto agente, comunque, avrebbe deciso di porre in essere la condotta anche se l’evento collaterale fosse stato oggetto di rappresentazione non solo in termini di probabilità, ma di certezza.
L’identificazione del dolo eventuale, dunque, secondo questa tesi, avviene mediante l’applicazione della prima formula di Frank e si basa su uno stato psicologico reale: quello di chi ex ante non solo è disposto a correre il rischio dando luogo ad un azzardo ma ha messo in conto che per l’obiettivo cui mira la sua condotta, il prezzo costituito dal realizzarsi dell’evento lesivo possa essere pagato, tanto che non desisterebbe dalla condotta neppure ove il prodursi di un simile evento fosse sicuro.
La dottrina di lingua tedesca operando una radicale inversione di tendenza ha sostenuto che i tradizionali criteri soggettivi sono insufficienti per definire in maniera compiuta il dolo eventuale. Pertanto è necessario fare ricorso a criteri oggettivi e in particolare all’elemento del rischio. Secondo questa tesi, quindi, il dolo eventuale può ritenersi integrato soltanto qualora il reo decida consapevolmente di superare con la propria condotta la misura del rischio, tollerata dall’ordinamento. Anche la dottrina italiana più recente ha avvertito l’esigenza di attribuire al rischio un ruolo fondamentale nel sorreggere l’imputazione dolosa indiretta affermando che nella responsabilità dolosa si deve enucleare un gradino oggettivo connesso, ma logicamente anteriore all’imputazione soggettiva del fatto doloso. Il dolo eventuale, dunque, ha una struttura più complessa di quella comunemente individuata dalla dottrina.
Tale struttura si articola in diversi livelli autonomi, rappresentati dal pericolo situazionale per il bene giuridico, dall’elemento cognitivo e dall’elemento volitivo. La giurisprudenza per lungo tempo ha recepito il criterio della accettazione del rischio quale strumento per identificare il dolo eventuale nei casi concreti. Di tale criterio si possono rinvenire numerose applicazioni, sebbene la lettura delle motivazioni delle sentenze possa svelare ulteriori fattori che nella prassi incidono sulle decisioni dei giudici orientandoli a ravvisare in concreto un’accettazione del rischio oppure no. Pertanto, si può ritenere che la giurisprudenza tenda ad operare un generico rinvio alle formulazioni dottrinali che sembrano garantire un ampio margine di manovrabilità necessario per soddisfare le varie istanze di politica criminale. Come si è visto in precedenza, il concetto di dolo eventuale è stato elaborato dalla dottrina per inquadrare i casi in cui il soggetto agente prende di mira un determinato risultato che può essere sia penalmente illecito, sia penalmente lecito, ma con la previsione che al posto di quello o oltre a quello se ne possa verificare uno penalmente illecito. In tali casi, infatti, non è configurabile né la responsabilità dolosa né quella colposa.
Al confine tra il dolo e la colpa, tuttavia, oltre al dolo eventuale si colloca anche la colpa con previsione che è definita dal codice penale come una forma aggravata di colpa. Secondo un’opinione diffusa mentre nel dolo eventuale il soggetto accetta il rischio del verificarsi dell’evento previsto e agisce nel dubbio che si possa verificare, nella colpa con previsione il soggetto prevede, inizialmente ed in modo generico, che quel dato comportamento è idoneo a cagionare un evento illecito ma perviene ad una previsione negativa circa la possibilità che esso veramente si realizzi. Altra dottrina, invece, ha sostenuto che anche nella colpa con previsione, come nel dolo eventuale, ricorre l’accettazione del rischio.
Tuttavia, mentre nel dolo eventuale l’accettazione del rischio è deliberata, nella colpa con previsione è dovuta a negligenza e mera imprudenza. Altra dottrina ha sostenuto che la colpa con previsione, ricorre quando, applicata la prima formula di Frank, si verifica che il soggetto agente non è disposto ad agire a costo del verificarsi dell’evento. Altra dottrina, invece, ha sostenuto che la distinzione tra dolo eventuale e colpa con previsione non consiste nel diverso atteggiarsi dello stato interiore di accettazione del rischio ma va ricercata nella diversità del rischio doloso rispetto a quello colposo. Infine, secondo una parte della dottrina, il concetto di dolo eventuale è stato elaborato per qualificare fattispecie concrete che, in realtà, non sono sostanzialmente diverse da quelle che determinano la responsabilità per colpa con previsione. Infatti, il dolo eventuale, come la colpa con previsione, è caratterizzato dalla violazione delle regole cautelari.
Pertanto, sarebbe opportuno un intervento del legislatore che, estendesse la punibilità per colpa ai casi in cui questa è caratterizzata dalla coscienza del rischio di provocare l’evento, cioè ai casi nei quali, in genere, la dottrina e la giurisprudenza ritengono ricorra il dolo eventuale.