Home » Diritto bancario » Il Collegio di Coordinamento ABF e l’usurarietà degli interessi di mora

Il Collegio di Coordinamento ABF e l’usurarietà degli interessi di mora

(di Alfonsina Biscardi) In un precedente contributo abbiamo avuto modo di fare un resoconto della giurisprudenza di merito che ha affrontato il problema della usurarietà degli interesse di mora, ad un anno di distanza dalla sentenza della Corte di Cassazione n.350 del 2013. Secondo alcuni commentatori, dalla citata sentenza si dedurrebbe il principio secondo cui gli interessi di mora concorrerebbero a determinare, assieme agli interessi corrispettivi, il costo complessivo dei mutui e delle operazioni finanziarie, in genere. Pertanto, ai fini della verifica dell’eventuale violazione della legge n.108 del 1996,  si dovrebbe procedere alla somma aritmetica dei due tassi convenzionalmente pattuiti e confrontarli  con il parametro rilevato trimestralmente, meglio noto come TEGM. Tutto ciò, malgrado sia noto che nella determinazione del TEGM, in base alle indicazioni fornite dalla Banca d’Italia, non si tenga conto degli interessi di mora.

Naturalmente, tale interpretazione ha acceso in molti, la speranza di ottenere la dichiarazione di nullità delle clausole pattuative degli interessi sia corrispettivi, sia moratori che, dunque, risulterebbero non dovuti.

Tuttavia,  la giurisprudenza di merito  e la dottrina hanno immediatamente chiarito che la sentenza della Corte di Cassazione n.350 del 2013 non può essere interpretata in questo modo. Anche l’Arbitro Bancario e finanziario, organismo  al quale può essere demandata la soluzione stragiudiziale di controversie aventi ad oggetto contratti bancari, ha affrontato la questione. Tenuto conto della particolare  delicatezza del tema, l’Arbitro Bancario e finanziario di Roma, con una decisione del 17 gennaio 2014  ha rimesso il giudizio al Collegio di Coordinamento. Ebbene, a seguito di un’accurata disamina delle problematiche poste dall’Arbitro remittente, il Collegio di Coordinamento, con decisione n.1875 del 28 marzo 2014, ha chiarito diversi aspetti della questione controversa.

Il primo luogo, il  Collegio ha preso posizione proprio in merito alla richiesta del ricorrente di procedere alla verifica di usurarietà, sommando aritmeticamente i tassi corrispettivi e di mora. A tal proposito la pronuncia  ha precisato che  “Affinché possa ottenersi l’effetto per cui “non sono dovuti interessi “, occorre  anzitutto che gli interessi siano “promessi o comunque convenuti” con effetto  giuridicamente vincolante, mentre non rileva che siano descritti. Da ciò discende che la somma che il ricorrente propone può essere presa in considerazione solo se ad essa corrisponde una somma di obblighi di pagamento.  Ma nel caso così non è.  In primo luogo, perché in riferimento ad una apertura di credito ad utilizzo flessibile,  gli interessi corrispettivi sono, in quanto obblighi di concreto pagamento da adempiere in  costanza del rapporto di credito programmato, alternativi rispetto agli interessi moratori  che identificano gli obblighi di pagamento riferiti alle somme dovute susseguenti alla  messa in mora e non già cumulabili con questi ultimi. Pertanto,la sommatoria proposta dal ricorrente è logicamente errata. In secondo luogo, perché, comunque, il contratto in questione contiene una clausola di salvaguardia mediante la quale le parti hanno convenuto che il finanziato non potrà mai essere obbligato al pagamento di interessi superiori al tasso soglia e non solo a quello rilevato nel periodo in cui il contratto è stato concluso, ma anche, sembrerebbe, a quelli  rilevati nei periodi di pagamento.

Il Collegio, inoltre, ha escluso che gli interessi di mora possano essere sottoposti a verifica di usurarietà, prima ancora che in virtù della diversa natura giuridica ed economica tra tassi corrispettivi e tassi moratori che impedirebbe di considerarli sostanzialmente omogenei, innanzitutto, perché deve sussistere una perfetta simmetria tra i due termini del confronto in cui consiste la verifica.  Allo stato, come si è detto, non vi è simmetria tra interessi di mora e TEGM. Pertanto, “così come sarebbe palesemente scorretto confrontare gli interessi pattiziamente convenuti per una data operazione di credito con i tassi soglia di una diversa tipologia di operazione creditizie, così come sarebbe palesemente scorretto calcolare nel costo del credito convenzionalmente pattuito gli addebiti a titolo di imposte, altrettanto risulta scorretto calcolare nel costo del credito pattuito i tassi moratori che non sono presi in considerazione ai fini della individuazione dei tassi soglia, perché in tutti i casi si tratta di fare applicazione del medesimo principio di simmetria.”

Secondo il collegio di coordinamento, dunque, con riferimento agli interessi di mora si può esclusivamente invocare l’art.1384 c.c.  e chiedere la riduzione secondo equità, qualora se ne provi l’eccessiva onerosità. “La ratio di simile regola di diritto si fonda sull’assunto che il potere che il giudice può esercitare d’ufficio è correlato all’obiettiva difficoltà che il debitore può incontrare nell’eseguire la prestazione risarcitoria; la difficoltà, appunto perché obiettiva, non riguarda la situazione economica del debitore, ma piuttosto l’esecuzione stessa della prestazione, ad esempio quando venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilità. L’onerosità per il debitore viene cioè in rilievo come metro di giudizio perché il giudice possa effettuare la sua valutazione e non come interesse tutelato dalla norma. Ne discende che la riduzione degli interessi moratori si impone quando la funzione assegnata alla misura pattizia degli interessi moratori sia completamente scollegata dalla stima del sacrificio illecitamente imposto al prestatore di denaro per assumere quella di atterrire il debitore. …. Clausole penali confezionate in modo da suscitare panico nel debitore sono esattamente quelle che la giurisprudenza nomofilattica della Corte di cassazione (sentenza n. 10511/99; sentenza n. 8188/03; sentenza s.u. n. 18128/05; sentenza n. 7180/12) ha inteso escludere dall’ambito del legittimo esercizio dell’autonomia privata.” Secondo il Collegio, inoltre, la riducibilità degli interessi moratori eccessivi ex art. 1384 c.c. non esclude che, ove ne ricorrano i presupposti, possa trovare applicazione anche l’art. 1344 c.c. “allorché la stipulazione di interessi moratori elevati ed oltre soglia si ponga come parte di un assetto negoziale destinato ad aggirare le disposizioni in tema di contrasto  dell’usura ed in tale ipotesi però l’effetto non dovrebbe essere quello di ridurre il tasso moratorio pattuito al tasso legale, ma di dare effetto al disposto dell’art. 1815, II comma”.