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L’usurarietà dei tassi di interesse nei mutui

(di Alfonsina Biscardi) Risale agli inizi del 2013 la sentenza della Corte di Cassazione n.350 che ha dato avvio ad un acceso dibattito in merito alla verifica della usurarietà dei tassi di interesse nei mutui e, in generale, nelle operazioni di finanziamento. La sentenza, invero abbastanza stringata, dedica alla problematica della verifica dell’usurarietà dei tassi un breve passaggio. Infatti, si limita a ritenere fondata la censura mossa dal mutuatario ricorrente in Cassazione rispetto al metodo con il quale nei precedenti gradi di giudizio era stato effettuato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia. In tale calcolo non si era tenuto conto della maggiorazione di tre punti prevista a titolo  di mora.

La Corte, rinviando a quanto stabilito dalla Consulta con la sentenza n.29 del 25 febbraio 2002  relativa alla legittimità costituzionale della legge di interpretazione autentica dell’art.644 c.p. come formulato dalla legge n.108 del 1996, e alla precedente sentenza della Cassazione n.5324 del 2003, ribadisce che, ai fini dell’applicazione dell’art.644 c.p. e dell’art1815 c.c. II comma, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o, comunque, convenuti a  qualunque titolo e, quindi, anche a titolo di interessi di mora.

L’affermazione dell’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi di mora, dunque, non è una novità, tant’è che la Consulta e la Cassazione avevano già formulato il principio di diritto ribadito dalla sentenza n.350 (per tutte si veda Corte Cass. 5286 del 2000).

Parte della dottrina, tuttavia, non condivide l’assunto della Corte. Infatti, al di là di quanto testualmente disposto dall’art.644 c.p., si rileva la differenza funzionale esistente tra interessi  corrispettivi e di mora. I primi  hanno una funzione remunerativa mentre i secondi hanno carattere risarcitorio. Peraltro, mentre i primi rappresentano un costo certo dell’intera operazione di finanziamento, i secondi sono  solo un costo eventuale. Essi, infatti, non rientrano nella fisiologia del rapporto e sono posti a carico del mutuante solo qualora costui non adempia con regolarità al pagamento delle rate.  Secondo l’orientamento in esame, poi, la ratio della disciplina antiusura è  colpire i soli interessi che costituiscono il corrispettivo della prestazione in denaro e che trova il proprio titolo nel contratto di mutuo. Gli interessi di mora, invece, non sono il corrispettivo  della prestazione in denaro e il loro pagamento trova la propria giustificazione giuridica (cioè il proprio titolo) nel ritardato adempimento. Essi, dunque, sarebbero piuttosto assimilabili alla clausola penale.

Altra dottrina, invece, ritiene che anche gli interessi di mora debbano soggiacere alla disciplina anti usura. Secondo tale orientamento, infatti, gli interessi, in generale, devono essere sottoposti ad una configurazione funzionalmente e sostanzialmente unitaria.  Si ritiene che tutti gli interessi abbiano una funzione reintegrativa, trovando la propria giustificazione causale nel trasferimento della disponibilità di capitale a favore di una diversa sfera giuridica. Gli interessi corrispettivi e di mora, quindi, costituirebbero due facce della stessa medaglia perché in entrambi i casi si tratta di un corrispettivo della perdita di disponibilità di un capitale. Pertanto, anche gli interessi di mora troverebbero il proprio titolo nel contratto.

Sembra che il legislatore, con la legge di interpretazione autentica dell’art.644 c.p. citata in precedenza, abbia aderito all’orientamento appena esposto. Peraltro, la relazione governativa di accompagnamento alla legge fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse, sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio.

Quindi la scelta del legislatore è chiara e la giurisprudenza della Cassazione da tempo  si è allineata ad essa.

A questo punto tuttavia, è necessario cercare di chiarire cosa significhi, in concreto, applicare la legislazione antiusura agli interessi di mora.

La verifica dell’usura va effettuata, in primo luogo, tenendo conto del momento in cui si stipula il contratto, confrontando il costo complessivo dell’operazione finanziaria rappresentato dal TAEG  (comprensivo degli interessi, delle commissioni, delle spese e di ogni altra remunerazione collegata all’erogazione del credito, compresa l’assicurazione)  con il TEGM, cioè il cosiddetto “tasso soglia” rilevato trimestralmente con decreti ministeriali. Tale tasso, fino al 2011, va aumentato della metà, e successivamente, di un quarto, aggiungendo un margine di quattro punti percentuali.

Come ribadito da recenti sentenze dalla Corte di Cassazione (n.602 e 603) l’usura, oltre che originaria, può essere anche sopravvenuta. In altri termini, il superamento del “tasso soglia” può manifestarsi anche nel corso di un rapporto che sia stato instaurato sia prima, sia dopo l’entrata in vigore della legge n.108 del 1996.

Il TEGM è determinato  sulla base delle indicazioni fornite dalla Banca d’Italia che, nel luglio 2013, ha ribadito l’esclusione dal relativo calcolo, degli interessi di mora e degli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento. L’eventuale inclusione degli interessi di mora nel TEGM, secondo la Banca d’Italia, innalzerebbe le soglie applicabili ai rapporti normali nei quali, cioè, non vi è ritardato adempimento, lasciando margini per ingiustificati incrementi nell’onerosità del finanziamento, in danno della clientela. Peraltro, tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo.

Gli interessi di mora, invece, sono stati rilevati separatamente solo attraverso un’indagine statistica condotta dalla Banca d’Italia nel lontano 2002.

Nel caso in cui il TAEG risulti superiore al TEGM si configura il fenomeno dell’usura  e trova applicazione l’art.1815 c.c.. Pertanto, le clausole contrattuali  sono nulle e gli interessi e gli oneri accessori non sono dovuti.

La rilevanza degli interessi di mora ai fini della verifica dell’usurarietà ribadita dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.350 del 2013, secondo alcuni commentatori, comporta che essi  debbano concorrere a determinare il TAEG cioè il costo complessivo dell’operazione da confrontare con il TEGM. Essi, cioè, devono essere sommati agli interessi corrispettivi. In caso di superamento del limite, troverebbe applicazione l’art.1815 c.c. e il cliente avrebbe diritto alla restituzione di tutti gli interessi pattuiti a qualsiasi titolo. Tuttavia,   nel TEGM,  come si è detto, gli interessi di mora non sono considerati.  E’ evidente, dunque,  che il confronto opererebbe tra entità eterogenee.

Pertanto, per evitare situazioni di incertezza, andrebbe individuato un parametro alternativo che, secondo alcuni, potrebbe essere rappresentato dalla maggiorazione di 2,1 punti percentuali del TEGM. Tuttavia, tale valore, come si è detto, è stato rilevato nel lontano 2002 e, dunque, non è attuale.

In alternativa, altri commentatori propongono di sottoporre gli interessi di mora a verifica di usurarietà separatamente rispetto a quelli corrispettivi, impiegando come  termine di confronto il TEGM, in attesa che sia definito  un parametro più adeguato. Qualora i soli interessi di mora pattuiti nel contratto superino il “tasso soglia”, il cliente potrebbe agire ai sensi dell’art.1815 c.c. limitatamente ad essi.

In ogni caso va ribadito che, al di là dell’applicazione della normativa in tema di usura l’assimilazione degli interessi di mora alla clausola penale consente, comunque, di invocare l’art.1384 c.c. e chiedere la riduzione secondo equità, qualora se ne provi l’eccessiva onerosità.

Per il momento l’Arbitro Bancario e finanziario di Roma, considerata la complessità e la rilevanza della questione, l’ha rimessa al Collegio di coordinamento, in modo da dare un indirizzo unitario alle decisioni dell’organismo (ABF Roma 17 gennaio 2014).  La giurisprudenza di merito finora resa nota, invece, registra provvedimenti (Trib. Milano 28 gennaio 2014, Trib. Napoli 28 gennaio 2014, Trib. Brescia 16 gennaio 2014) che escludono la possibilità di una sommatoria dei tassi pattuiti in contratto ai fini della verifica dell’usurarietà, precisando che la sentenza della Corte di Cassazione n.350 del 2013 va interpretata nel senso di sottoporre gli interessi di mora pattuiti nel contratto ed, eventualmente, applicati, a separata verifica di usurarietà. Il parametro impiegato per la verifica è il TEGM.

Il Tribunale di Rovereto, invece, con provvedimento del 30 dicembre 2013 ha ammesso la sommatoria dei tassi corrispettivi e di mora pattuiti in contratto.