Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24418 depositata in data 02.12.2010 hanno esercitato la propria funzione nomofilattica, intervenendo su alcune questioni che, in tema di anatocismo bancario, non erano univocamente valutate e decise dalla giurisprudenza di merito. La pronuncia è giunta a seguito del ricorso proposto dalla Banca Popolare Pugliese avverso la Sentenza n. 97 del 2009 emessa dalla Corte d’Appello di Lecce, relativamente ad una causa per la ripetizione di illegittime competenze bancarie avviata da un correntista salentino.
Con il citato ricorso, l’Istituto di Credito eccepiva l’avvenuta prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito fatto valere dal cliente e sosteneva la legittimità della capitalizzazione annuale degli interessi debitori. Su tali questioni, com’è noto, non vi è uniformità di giudizio nell’ambito della giurisprudenza di merito.
Con particolare riferimento al problema della decorrenza del termine decennale di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito, si ricorda che, a fronte della giurisprudenza della Corte di Cassazione (per tutte si veda Corte Cass. n.10127 del 14 maggio 2005) che, in nome dell’unitarietà del rapporto di conto corrente bancario riteneva che il termine decennale decorresse dalla chiusura del rapporto, la recentissima giurisprudenza di merito (per tutte si veda Corte d’Appello di Brescia del 16 gennaio del 2008) con ampia e articolata argomentazione, si è pronuncia a favore della decorrenza della prescrizione decennale a partire dalle singole poste di dare e di avere. La Corte, infatti, ha osservato che nei contratti di durata vige la regola generale in base alla quale ogni singola prestazione ha una sua autonomia sicché ognuna di esse resta soggetta alle regole comuni e, quindi, anche a quelle sulla decorrenza della prescrizione. A tale regola generale che vale, naturalmente, anche per il contratto di conto corrente bancario si può derogare solo nei casi tassativi in cui il legislatore ritenga di incidere su detto meccanismo con regole peculiari.
Ebbene, nel caso del contratto di conto corrente bancario non è prevista alcuna deroga e, quindi, data l’autonomia delle singole prestazioni, il termine di prescrizione decennale per l’azione di restituzione dell’indebito decorre a partire da ciascuna posta di dare e di avere. Tale pronuncia è stata, peraltro, condivisa anche dal Tribunale di Milano con la sentenza n.10350 del 2010. Il citato orientamento, dunque, limita il diritto alla ripetizione dell’indebito, ai soli interessi addebitati illegittimamente negli ultimi dieci anni di durata del rapporto di conto corrente, producendo un impatto notevole soprattutto con riferimento a controversie aventi ad oggetto contratti molto risalenti nel tempo.
Ebbene, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, riprendendo una distinzione che era stata già esposta in un’ordinanza del Tribunale di Verbania del 23.09.2010, hanno fornito la definizione di pagamento e hanno differenziato l’attività solutoria del correntista titolare di apertura di credito dall’attività finalizzata a rientrare nei limiti dell’affidamento concesso dall’Istituto di Credito. Sulla base di tale distinzione, quando il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione degli interessi anatocistici e per la ripetizione dell’indebito, il termine di prescrizione decorre dalla data di estinzione del conto corrente ogni volta che i versamenti eseguiti in pendenza del rapporto hanno avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non rappresentando dei pagamenti. La prescrizione decennale decorrerà, invece, dai singoli versamenti, qualora questi possano configurarsi come pagamenti assolvendo, dunque, ad una funzione solutoria. Ciò, secondo la Corte, accade nel caso in cui si tratta di versamenti eseguiti su un conto scoperto cui non accede alcuna apertura di credito a favore del correntista o quando i versamenti sono destinati a coprire un passivo eccedente i limiti dell’accreditamento.
Sembra, dunque, evidente che nel caso in cui i giudici di merito riterranno di attenersi all’orientamento formulato dalla Corte di Cassazione, gli Istituti di credito che eccepiranno l’avvenuta prescrizione del diritto alla restituzione dell’indebito saranno onerati della prova della natura solutoria dei versamenti operati dal correntista. In sede di ricostruzione contabile del rapporto di dare e avere, poi, prima ancora di esaminare i singoli versamenti e accertarne la natura solutoria, i periti nominati dai Giudici potrebbero essere chiamati a ricalcolare il saldo a debito di conto corrente epurandolo degli importi illegittimamente addebitati e, dunque, riducendolo in maniera sensibile. In tal modo l’esposizione effettiva del correntista risulterà ridimensionata al punto che potrà persino accadere che non emerga alcuno scoperto oppure alcun superamento dei limiti del fido. Ne conseguirà l’impossibilità di riconoscere natura solutoria ai versamenti effettuati dal correntista e di dichiarare prescritto il diritto alla restituzione dell’indebito di cui essi sono oggetto. L’esito della controversia, dunque, sarà indissolubilmente legato al tenore del quesito che il Giudice sottoporrà al Consulente Tecnico d’Ufficio.
Le Sezioni Unite con la sentenza n.24418 del 2010 hanno statuito anche a favore dell’inapplicabilità di qualsiasi forma di capitalizzazione degli interessi. Come noto, la questione della illegittimità della capitalizzazione degli interessi riguarda soprattutto i rapporti antecedenti all’entrata in vigore e all’applicazione della Delibera CICR e, quindi, al 30.06.2000. Infatti per i contratti successivi a tale data, in presenza della esplicita pattuizione della pari periodicità della capitalizzazione degli interessi debitori e creditori non sussiste alcuna forma di illegittimità. Con riferimento ai rapporti antecedenti al 30.06.2000, invece, la giurisprudenza non è unanime: infatti alcuni Tribunali richiedono l’espressa accettazione da parte del correntista della modifica del contratto relativa alla capitalizzazione. Altri Tribunali, invece ritengono sufficiente l’avvenuta pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’adeguamento da parte della Banca alla citata delibera del CICR.
Nel caso in cui, però, la capitalizzazione degli interessi debitori non sia stata pattuita in conformità con quanto disposto dal CICR, la Corte ha escluso che sia praticabile l’estensione della capitalizzazione annuale eventualmente prevista in via convenzionale per gli interessi creditori. Infine, la Corte di Cassazione si è soffermata sulla problematica relativa alla sottoscrizione del contratto di conto corrente. Accade, infatti, che i contratti di conto correnti rechino esclusivamente la firma del correntista e non del soggetto che ha la rappresentanza dell’Istituto di credito. In tal caso, il correntista agisce in giudizio per conseguire la declaratoria di nullità del contratto per carenza della forma scritta richiesta ad substantiam. E’ noto che secondo consolidata giurisprudenza la produzione in giudizio di una scrittura privata ad opera della parte che non l’abbia sottoscritta costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e perfeziona il contratto in essa contenuto. Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che il citato principio giurisprudenziale trova applicazione solo qualora la controparte del giudizio (e, dunque, il correntista) sia la stessa che aveva già sottoscritto il contratto e non abbia revocato prima della produzione il consenso prestato.
Alla luce di quanto finora osservato è evidente che la pronuncia delle Sezioni Unite, fermo restando il principio costituzionale in base al quale i Giudici sono soggetti esclusivamente alla legge, avrà un grosso seguito nelle aule dei Tribunali. La sentenza ha immediatamente alimentato nuovo contenzioso e, soprattutto, ha reso ancora più determinante il ruolo dei consulenti tecnici d’ufficio e di parte, incaricati della ricostruzione contabile dei rapporti controversi. Infatti, l’esito dei giudizi sarà indissolubilmente collegato ai criteri applicati nell’ elaborazione delle consulenze tecniche.