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Author Archives: Tesi in diritto

Le Sezioni Unite si pronunciano sulla nullità delle fideiussioni omnibus

In materia di fideiussione omnibus, con ordinanza del 30 aprile 2021 n. 11486 la Prima Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite “per una rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza, volta a verificarne l’applicabilità alle fideiussioni bancarie prestate in conformità delle condizioni uniformi predisposte dall’ABI”. (altro…)

La composizione negoziata della crisi d’impresa

Il d.l. n.118 del 2021  convertito nella legge  del  21 ottobre 2021, n. 147 pubblicata in  G.U.  n.254 del 23/10/2021  rappresenta il provvedimento normativo attraverso il quale il Governo, con il voto favorevole del Parlamento, intende far fronte agli squilibri economici, finanziari  e patrimoniali subiti dalle imprese per effetto  dell’inattività dovuta alla pandemia da Covid 19.

Il Governo ha previsto numerosi interventi emergenziali di sostegno alle imprese che, tuttavia, non  bastano per far fronte agli effetti di una crisi che, purtroppo, è destinata a durare nel tempo, mettendo a rischio la continuità aziendale.

Nella situazione attuale è parso necessario integrare gli strumenti già esistenti e finalizzati a far fronte  a casi di insolvenza o crisi conclamata, con procedimenti nuovi che permettano di evitare che la crisi temporanea si trasformi in insolvenza.

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La scelta e la conservazione della password

Il 20 ottobre 2021 le più importanti testate giornalistiche hanno riportato la notizia dell’attacco hacker che il Gruppo Everest ha portato alla Società Italiana degli autori ed editori (SIAE), cioè all’ente pubblico economico che, nel nostro paese,  si occupa della  protezione del diritto d’autore e delle opere d’ingegno svolgendo anche attività di intermediazione tra gli autori ed editori e i fruitori delle opere medesime.

La SIAE svolge anche attività di promozione culturale e di incentivazione alla produzione di nuove opere, nonché azioni di solidarietà e di conservazione del patrimonio artistico.

L’Ente è stata vittima di un precedente attacco informatico nel 2018.

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Mutuo fondiario: gli effetti del superamento del limite di finanziabilità dell’80%

Come già evidenziato nel precedente contributo “Una rassegna della recente giurisprudenza in materia di mutuicon riferimento al credito fondiario  definito dall’art.38 I comma del Testo Unico in materia Bancaria (TUB) come  l’operazione avente ad oggetto la “concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili”   si pone il problema degli effetti giuridici prodotti dal  superamento del limite di finanziabilità che la Banca d’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, ha determinato nella misura dell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sui beni medesimi. Tale percentuale è elevabile al 100%  nel caso in cui il mutuatario  rilasci anche  garanzie integrative.

L’importo finanziato non può  superare il limite dell’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire su di essi.

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La prova della titolarità del credito nella cessione dei crediti in blocco ex art.58 TUB

La cessione del credito produce un mutamento del rapporto obbligatorio dal lato attivo, determinando il trasferimento della titolarità del diritto,  dal cedente al cessionario.

La legge n.130 del 1999 disciplina in modo specifico le operazioni di cartolarizzazione dei crediti. Tali operazioni si realizzano con la cessione a titolo oneroso di crediti pecuniari, sia esistenti, sia futuri, individuabili in blocco, se si tratta di una pluralità di crediti, mediante la sottoscrizione o l’acquisto di obbligazioni e titoli similari ovvero cambiali finanziarie, esclusi, comunque, titoli rappresentativi del capitale sociale, titoli ibridi e convertibili, da parte della società emittente i titoli.

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La giurisprudenza recente sulle anomalie dell’ammortamento alla francese

A distanza di anni sembra che, attraverso la giurisprudenza di merito più recente, si stia finalmente delineando nella sua corretta dimensione  giuridica e contabile la questione in origine approssimativamente definita dell’ “anatocismo nei mutui” con ammortamento alla francese.

Agli albori della vicenda, le poche sentenze che affrontarono la questione come, ad esempio, quella del Tribunale di Benevento n.1936  del 19 novembre 2012 esclusero la configurabilità dell’anatocismo  nell’ammortamento alla francese. Conclusero, altresì, che  nei mutui in cui siano stati espressamente indicati  e accettati mediante sottoscrizione l’importo mutuato, i periodi di pagamento, il numero complessivo delle rate costanti,  il tasso e il piano di ammortamento,  l’applicazione dell’interesse composto non si potesse giungere ad una pronuncia di  nullità della clausola relativa agli interessi, per indeterminatezza dell’oggetto, ai sensi dell’art.1284 c.c.

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Cybersecurity law. Disciplina italiana ed europea della sicurezza cibernetica anche alla luce delle norme tecniche

«Ancora oggi, nella percezione più immediata della generalità delle persone, il termine cybersecurity continua troppo spesso ad essere associato a realtà suggestive, ma lontane dalla vita di tutti i giorni. Essa riesce spesso a incuriosire, a volte ad appassionare, ma quasi sempre come potrebbe farlo un film di fantascienza, perché continua ad essere percepita come una questione riservata ai soli protagonisti della governance statale e internazionale. A tale insieme circoscritto di operatori, si aggiunge qualche studioso della materia, nel ristretto perimetro fra una branca specialistica del diritto e i tecnologi del settore. Nel ripercorrere il percorso della disciplina nazionale ed europea in materia di sicurezza cibernetica – valorizzando le molteplici e variegate norme tecniche, anche internazionali, che si sono affermate in materia – l’opera descrive al lettore la progressiva espansione delle frontiere della cybersecurity che non può non interessare sempre più da vicino anche i privati, intesi sia come organizzazioni che come singoli, in quanto soggetti che interagiscono quotidianamente nel cyberspazio, un (non) luogo vero, dove trovano allocazione pure – spesso tramite i sistemi cloud sempre più pervasivi e performanti – le grandi banche dati strategiche che custodiscono le più rilevanti raccolte di dati». (Dall’introduzione di Giuseppe Busia)

Dati del libro

Titolo: Cybersecurity law. Disciplina italiana ed europea della sicurezza cibernetica anche alla luce delle norme tecniche
Autore: a cura di Alfonso Contaldo e Davide Mula
Anno: 2020
Formato: Copertina flessibile, 344 pagine
Editore: Pacini Giuridica (27 aprile 2020)
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Il PNRR e la proposta di riforma del processo civile.

Come è noto l’Unione Europea, per far fronte alla crisi economica seguita all’epidemia da Covid 19 ha elaborato il Next Generation EU (NGEU),  programma di portata e ambizione inedite, con il quale si prevedono investimenti e riforme da attuare nei Pesi membri per accelerare la transizione ecologica e digitale, migliorare la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori e conseguire una maggiore equità di genere, territoriale e generazionale. 

Per accedere a tale programma il Governo ha elaborato il Piano Nazionale di Ripresa  e Resilienza (PNRR). Il PNRR si articola in sei missioni che sono: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute. Per realizzare le missioni, il Piano predispone un ambizioso progetto che prevede anche la realizzazione di riforme di contesto riguardanti la  pubblica amministrazione, la semplificazione della legislazione, la promozione della concorrenza e la giustizia.  

In tale Piano si rileva che la difficoltà dell’economia italiana di tenere il passo con gli altri Paesi avanzati europei e di correggere i suoi squilibri sociali ed ambientali dipende dall’andamento della produttività, molto più lento in Italia che nel resto d’Europa. Una delle cause del deludente andamento della produttività è ravvisata nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali tra le quali rientra anche quella della giustizia civile. Tale riforma è necessaria per risolvere il problema dell’ eccessiva durata dei procedimenti. Infatti, attualmente, in media, sono necessari oltre 500 giorni per concludere un procedimento civile in primo grado.

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Cybersecurity kit di sopravvivenza. Il web è un luogo pericoloso. Dobbiamo difenderci!

“Perché dovrebbero attaccare proprio me? Oggi nessuno può considerarsi al sicuro, perché gli attacchi sono sempre più frequenti e talora automatizzati.Gli strumenti informatici sono importanti, ma il punto debole della sicurezza è sempre il fattore umano. È noto che oltre il 90% dei cyber attacchi sono causati da un errore umano: può bastare un click per perdere tutti i dati personali di un utente o per mettere in crisi un’intera azienda. Questo libro racconta come il cybercrime si è evoluto, con esempi e storie vere. Vengono illustrate le tecniche d’attacco, dal phishing ai ransomware, dai malware sugli smartphone all’uso sbagliato delle password.

E soprattutto spiega come fare per difenderci, con consigli utili per gli utenti e con approfondimenti tecnici per i più esperti.Tutto questo raccolto in un unico testo che ci mostra – a 360 gradi – che cosa è la cybersecurity, una disciplina affascinante e mai noiosa, che si evolve ogni giorno con nuovi attori e attacchi sempre diversi.”

Dati del libro

Titolo: Cybersecurity kit di sopravvivenza. Il web è un luogo pericoloso. Dobbiamo difenderci!
Autore: di Giorgio Sbaraglia
Anno: 2018
Formato: Copertina flessibile
Editore: goWare (24 ottobre 2018)
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L’arte dell’inganno

“Il celebre pirata informatico spiega tutte le tecniche di “social engineering” che gli hanno permesso di violare sistemi di sicurezza ritenuti invulnerabili. Descrive le strategie impiegate dagli hacker, dagli agenti dello spionaggio industriale e dai criminali comuni per penetrare nelle reti. Si tratta di tecniche dell'”inganno”, di espedienti per usare la buona fede, l’ingenuità o l’inesperienza delle persone che hanno accesso alle informazioni “sensibili”; tecniche paragonabili alle strategie che Sun Tzu descriveva nel suo trattato sull’arte della guerra. Anche in questo caso, la manipolazione del “fattore umano”, la capacità di “ricostruire” le intenzioni, la mentalità e il modo di pensare del nemico diventa lo strumento più micidiale. Introduzione di Steve Wozniak. Consulenza scientifica di Raoul Chiesa.

Dati del libro

Titolo: L’arte dell’inganno
Autore: di Kevin D. Mitnick (Autore), William L. Simon (Autore), G. Carlotti (Traduttore)
Anno: 2013
Formato: Copertina flessibile
Editore: Feltrinelli; 8° edizione (25 settembre 2013)
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Cortocircuito. Lo schema comunicativo nei politici influencer

Da Di Maio e Salvini, da Trump alla Brexit, lo stile di comunicazione politica dove chi grida di più ha ragione, dove chi è più sicuro trionfa e dove la battuta conta più dell’approfondimento è diventato quello comune.

È lo schema politica – social media ed è in cortocircuito. In campo ci sono “Loro”, i populisti che impongono i temi perlopiù marginali di cui parlare. Nel mezzo TV e giornali capaci di amplificare il rumore e generare ulteriore disordine informativo. All’ultimo posto i cittadini, ovvero i “Noi”, che reagiscono scandalizzati a ogni provocazione schierandosi e commentando provvedimento del Ministro del Lavoro come se fosse un outfit di Chiara Ferragni.

Quando e come si è creato questo stile di comunicazione? Chi sono gli attori e perché è importante fermarlo? In questo pamphlet dal taglio narrativo, Gabriele Ferraresi racconta casi significativi degli ultimi mesi e insieme all’analisi di sociologi, linguisti e filosofi cerca di capire i meccanismi di questa strategia di amplificazione del segnale basata sull’indignazione dei “buoni”, che si galvanizzano a colpi di condivisioni su Facebook, retweet e commenti su Instagram.Un meccanismo consolatorio ma inutile: serve forse a contarsi, a sentirsi meno soli, ma andrebbe fatto con cautela. Perché è esattamente il carburante di cui hanno bisogno “Loro”. Glielo stiamo regalando e sarebbe il caso di smettere.

Dati del libro

Titolo: Cortocircuito. Lo schema comunicativo nei politici influencer
Autore: Gabriele Ferraresi
Anno: 2019
Formato: Ebook Kindle (anche in Copertina flessibile)
Editore: Ledizioni (18 luglio 2019)
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Cosa Nostra spiegata ai ragazzi

“In un tempio della cultura qual è la scuola,
non si può non parlare di quella che io chiamo
la cultura della legalità, una cosa
che probabilmente a scuola s’insegna molto poco.

È il 1989. La seconda guerra di mafia ha insanguinato la Sicilia e imposto sull’isola la dittatura armata dei corleonesi di Riina, ma non è ancora giunto il momento dell’attacco al
cuore dello Stato. 
Nonostante questo, il giudice Borsellino – di
fronte agli studenti di un liceo di Bassano del Grappa – racconta una storia che, a 30 anni di distanza, sorprende ancora per la sua triste
attualità.
Con parole semplici, chiare e dirette, il magistrato delinea un quadro inquietante fatto di omicidi, estorsioni e rapimenti.
E lo fa di fronte a ragazzi del Nord Italia, una realtà apparentemente lontana da certi scenari. Ma i tentacoli della piovra sono lunghi e Borsellino lo sa bene. E con questo discorso
cerca di mettere in guardia la giovane platea, affinché impari a riconoscere la mafia in tutte le sue manifestazioni, dalle più eclatanti a quelle più nascoste e, per questo, insidiose.
Un documento importante, che suona ancora oggi come monito troppe volte rimasto inascoltato.”

Dati del libro

Titolo: Cosa nostra spiegata ai ragazzi
Autore: Paolo Borsellino
Anno: 2019
Copertina flessibile: Ebook Kindle (anche in brossura)
Editore: Paper First (4 luglio 2019)
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Chi (non) l’ha detto: Dizionario delle citazioni sbagliate

“Gesù Cristo non disse mai «Lazzaro, alzati e cammina!» 
Galileo Galilei non esclamò «Eppur si muove!» 
L’adagio «A pensar male si fa peccato, ma spesso s’indovina» non è di Giulio Andreotti. Sarà vero l’aforisma di Winston Churchill secondo cui a Londra «un taxi vuoto si è fermato davanti al numero 10 di Downing Street, e ne è sceso Attlee»? No, falso: infatti si trattava di una carrozza e ne discese, a Parigi, Sarah Bernhardt. «Vivi come se tu dovessi morire subito, pensa come se tu non dovessi morire mai» sarà del filosofo Julius Evola o della pornostar Moana Pozzi? Sono passati più di vent’anni da quando Paolo Mieli, per due volte direttore del «Corriere della Sera», minacciò: «Una citazione latina sbagliata in un discorso o riportata erroneamente in un articolo dovrà diventare un’onta perenne, un guaio peggiore di un avviso di garanzia». Purtroppo, da allora, poco è cambiato, se non in peggio. Giornalisti e politici continuano ad attribuire pensieri in libertà a personaggi che non si sono mai sognati di esprimerli. Convinto che il “citazionismo” sia la deriva che più ha tolto credibilità alla casta degli scribi cui egli stesso appartiene, Stefano Lorenzetto ha sottoposto a radiografia detti, non detti e contraddetti, cercando di scoprire, per i più celebri, come e perché si siano diffusi in modo errato. I risultati dell’indagine risultano sconcertanti e al tempo stesso divertenti. L’esclamazione «Elementare, Watson!» non è mai uscita dalla bocca di Sherlock Holmes né tantomeno dalla penna di Arthur Conan Doyle. E, a dispetto dell’aneddotica circolante su Mike Bongiorno, la signora Longari ha spiegato all’autore di questo libro che non è mai caduta sull’uccello. Materia sterminata, infingarda, magmatica, cangiante. Forse perché «la vita stessa è una citazione», diceva Jorge Luis Borges (ma l’avrà detto davvero?)”

Dati del libro

Titolo: Chi (non) l’ha detto: Dizionario delle citazioni sbagliate
Autore: Stefano Lorenzetto
Anno: 2019
Copertina flessibile: 282 pagine (anche in ebook)
Editore: Marsilio (4 luglio 2019)
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I dieci comandamenti dell’economia italiana

“Questo libro si propone di affrontare in modo rigoroso ma divulgativo i principali nodi da sciogliere dell’economia italiana. Attraverso il contributo di specialisti delle diverse materie vengono analizzati temi che sono tutti i giorni dibattuti, con più o meno competenza sui media, come i conti pubblici o la tassazione, insieme ad altri dai quali dipenderà l’assetto della struttura economica del nostro Paese come i trasporti, le liberalizzazioni, le privatizzazioni, il sistema bancario e finanziario nonché la politica industriale. Ma anche argomenti che hanno certamente un pregnante risvolto economico e una valenza sociale di primaria importanza, come la previdenza, l’università e la sanità. Prefazione di Lorenzo Infantino.”

Dati del libro

Titolo: I dieci comandamenti dell’economia italiana
Autore: a cura di Carlo Cottarelli e Alessandro De Nicola
Anno: 2019
Copertina flessibile: 282 pagine
Editore: Rubbettino (27 giugno 2019)
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Regolamento Europeo 679/2016 sulla Data Protection (GDPR)

Nel nostro Paese la tutela della riservatezza dei dati finora è stata affidata al Testo unico in materia di privacy approvato con il d.lgs. n.169 del 2003 che raccoglie la maggior parte delle disposizioni inerenti alla privacy e al trattamento dei dati, recependo le Direttive 95/46/CE e 58/2002/CE.

Tale disciplina si avvia ad essere sostituita dal Regolamento Europeo 679/2016 sulla General Data Protection Regulation (GDPR) approvato nell’aprile del 2016 che trova applicazione a decorrere dal 25 maggio 2018 ed è obbligatorio in tutti i suoi elementi nonché direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. Si tratta, quindi, di una disciplina pan europea. Tuttavia, la sola esistenza ed applicazione del GDPR non comporta, l’abrogazione automatica del citato Testo unico e delle altre 27 diverse legislazioni nazionali finora vigenti.

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Etica del lavoro e mobbing

Dal punto di vista giuridico, il fenomeno del mobbing, del quale la giurisprudenza si interessa ormai da almeno venti anni, non ha ancora trovato in Italia una definizione legislativa, in assenza di una legge nazionale al riguardo.

In campo medico appare invece sostanzialmente consolidata la definizione data da Heinz Leymann, padre indiscusso del concetto di mobbing, da lui elaborato nei primi anni ’80 del secolo scorso e definito “una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo di tempo, con lo scopo o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”.

Dati del libro

TitoloEtica del lavoro e mobbing
Autore: Gallo Fabio M.; Iavarone Luigi; Ferracuti Stefano
Prezzo: € 12,75
Anno: 2012
Altri dati: 212 p., brossura
Editore: Aracne  (collana Lavoro etica e diritto)
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Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune

Viviamo in una società satura di diritto, di regole giuridiche dalle provenienze più diverse, imposte da poteri pubblici o da potenze private. Negli ultimi secoli infatti il campo di esercizio del diritto si è via via esteso, inglobando questioni affidate un tempo al governo della religione, dell’etica, del costume, della natura. Le nuove tecnologie della vita genetiche, riproduttive, di prolungamento artificiale della vita – e di controllo – con la possibilità di accesso da parte di enti privati e istituzioni alla privacy individuale – hanno posto il diritto al centro di una fitta rete di questioni etiche e politiche.

La consapevolezza sociale non è sempre adeguata alla complessità di questo fenomeno, che rivela anche asimmetrie e scompensi, con un diritto invadente in molti settori e assente dove più se ne avvertirebbe il bisogno.

Il libro di Stefano Rodotà affronta in tutta la sua vastità il tema del diritto in relazione alle scelte etiche, sociali e politiche della società contemporanea, alla pervasività del suo potenziale dominio e, di conseguenza, ai limiti da imporre al suo esercizio.

Dati del libro

TitoloIntorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune
Autore: Zagrebelsky Gustavo
Prezzo: € 18,70
Anno: 2009
Altri dati: 409 p., brossura
Editore: Einaudi
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Fiere, sagre e feste paesane

Le fiere, le sagre e le feste paesane, che hanno, nel nostro Paese, grandissima diffusione e notevole rilevanza economica, sono disciplinate da diverse normative, in quanto molteplici sono le attività che si sviluppano all’interno di esse: attività commerciali, di ristorazione, di pubblico spettacolo e di intrattenimento.

Tali manifestazioni, pertanto, coinvolgono non poco le amministrazioni locali, impegnate sia nelle fasi organizzative che nei controlli da effettuare affinché tutto si svolga regolarmente e in piena sicurezza per i partecipanti.

Nella prima parte del volume vengono analizzate le diverse attività che si effettuano nelle fiere, sagre e feste paesane, con la proposta di casi operativi svolti, corredati da un sintetico prontuario delle principali violazioni e sanzioni riguardanti il commercio su aree pubbliche, la somministrazione temporanea di alimenti e bevande, il pubblico spettacolo e i trattenimenti vari.

Nella seconda parte viene invece approfondita la disciplina delle manifestazioni di sorte locali (lotterie, tombole e pesche di beneficenza), anche qui con il corredo di casi operativi e prontuario, oltre che di una bozza di regolamento comunale in materia. Un’ampia parte viene infine dedicata alla modulistica da utilizzare e alla normativa, alle circolari e ai pareri di utile riferimento.

Dati del libro

TitoloFiere, sagre e feste paesane
Autore: Fiore Elena
Anno: 2013
Dati: 302 p., brossura, 2 ed.
Editore
: Maggioli Editore  (collana Commercio & servizi)
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Diritti in costruzione. Presupposti per una definizione efficace dei livelli essenziali di assistenza sociale

Lo spettro della povertà è tornato a manifestarsi nell’esperienza quotidiana di fasce sociali che si pensava ne fossero al riparo. Cresce il bisogno di welfare proprio mentre le risorse ad esso dedicate diminuiscono. In Italia, la legislazione sui livelli minimi di assistenza è ancora lontana dall’essere applicata, lasciando ampio spazio alla discrezionalità nelle misure di intervento. Ciò accade non solo per questioni economiche o per disinteresse politico, ma per l’insieme delle caratteristiche culturali e strutturali del nostro sistema di welfare. Questo libro offre contenuti e strumenti utili per procedere su strade realistiche, articolando il piano della definizione del diritto e quello degli interventi. Esito di una ricerca che ha coinvolto un gruppo interdisciplinare di studiosi composto da giuristi, sociologi ed economisti che hanno interagito con una rete di enti e istituzioni responsabili in tema di welfare in Italia, il libro parte dalle analisi degli autentici bisogni dei cittadini, dalle loro storie, nella convinzione che la tutela dei diritti fondamentali non solo non ostacola, ma non può che contribuire allo sviluppo di tutto il Paese.

Dati del libro

TitoloDiritti in costruzione. Presupposti per una definizione efficace dei livelli essenziali di assistenza sociale
Autore: Costa G.
Prezzo: € 12,75
Anno: 2012
Altri dati:150 p., brossura
Editore: Bruno Mondadori
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Osservazioni sull’anatocismo nei mutui: il punto della situazione

Le contestazioni relative alla pratica dell’anatocismo nei mutui e, in particolare, alla illegittimità del sistema di ammortamento definito “alla francese” hanno avuto un primo riconoscimento nella sentenza del Tribunale di Bari-sezione distaccata di Rutigliano che risale al 29.10.2008.

Per il momento, la cronaca giudiziaria ha registrato  solo  un’altra sentenza  di merito che pare ribadisca l’illegittimità della forma più diffusa e usata di ammortamento. Si tratta di una pronuncia resa dal Tribunale di Larino – sezione distaccata di Termoli – nel maggio scorso . (altro…)

CEDU: dall’Italia più garanzie per il pagamento dei debiti degli Enti pubblici in dissesto

Con le sentenze rese nei casi De Luca contro Italia e Pennino contro Italia del 24 settembre 2013  la Corte Europea dei diritti dell’uomo (CEDU) ha affrontato una questione molto interessante. La Corte è stata adita da due cittadini italiani che, pur avendo conseguito sentenze passate in giudicato, rispettivamente, il 9 maggio 2004 e il 22 marzo 2003, che li riconoscevano creditori nei confronti del  Comune di Benevento a seguito di azioni risarcitorie, non hanno potuto intraprendere l’azione esecutiva delle conseguenti condanne.

Infatti, nel dicembre del 1993, pendenti i giudizi, era intervenuta la dichiarazione di dissesto finanziario dell’ente pubblico. La gestione del risanamento del Comune era stata affidata all’organismo straordinario di liquidazione.

Com’è noto, l’art. 248 II comma TUEL stabilisce che  “ Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all’approvazione del rendiconto di cui all’articolo 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell’ente per i debiti che rientrano nella competenza dell’organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l’opposizione giudiziale da parte dell’ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d’ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell’importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese.”

Tale disciplina normativa è finalizzata a garantire la par condicio creditorum e a permettere l’effettivo risanamento dei conti dell’ente in dissesto.

Tuttavia, nei casi sottoposti alla Corte Europea i  giudizi di risarcimento del danno sono stati molto lunghi, come, del resto, la procedura di risanamento dei conti del Comune.  In questo lasso di tempo, dunque, come rilevato dai ricorrenti, è stato impedito loro di porre in esecuzione le sentenze definitive e di accedere al Tribunale, con conseguente violazione dell’art.6 § 1 delle Convenzione Europea dei diritti per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Inoltre, i ricorrenti lamentano anche la violazione dell’art.1 del Protocollo 1 della Convezione, posto a tutela della proprietà. Tale disposizione, infatti, stabilisce che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

A ciò si aggiunga  la violazione dell’art.13 della citata Convenzione in base al quale  “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo  davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia  stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro  funzioni ufficiali”.

A fronte di tali doglianze lo Stato italiano nelle proprie difese ha affermato che nei casi di specie non potesse trovare applicazione l’art.13 e che alcuna violazione dell’art.1 Protocollo 1 fosse configurabile in quanto il credito dei ricorrenti era stato ammesso al  passivo. Inoltre, lo Stato ha ribadito la legittimità della limitazione all’accesso al Tribunale ex art.248 II comma TUEL in virtù del principio della par condicio creditorum.

La Corte ha accolto i ricorsi dei sig.ri De Luca e Pennino ritenendo che, nei casi di specie, sia stato violato il diritto sancito dall’art.6 § 1 della Convenzione. Infatti, anche in precedenti pronunce, la Corte ha rilevato che  tale diritto sarebbe vanificato se l’ordinamento interno di uno Stato contraente permettesse che una sentenza definitiva ed esecutiva, non potesse essere eseguita a danno di una parte. L’esecuzione di una sentenza pronunciata da un tribunale, deve essere considerata come facente parte integrante del “processo” ai sensi dell’articolo 6 (Hornsby. Grecia, 19 Marzo, 1997, § 40, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997 II e Burdov c. Russia (n. 2), n. 33509/04, § 65, 15 gennaio 2009). Il diritto di accesso al Tribunale, poi, non è assoluto. Infatti, la  Corte ha ribadito che alcune limitazioni sono implicitamente ammesse, purchè non restringano il  citato diritto in modo o in misura tale da comprometterlo  nella sua stessa sostanza. Inoltre, dette limitazioni sono compatibili con l’articolo 6 § 1, solo se perseguono uno scopo legittimo e se esiste un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito ( tra le tante si vedano Khalfaoui c . Francia, n. 34791/97, § § 35-36, CEDU 1999-IX, e Papon c. Francia, n. 54210/00, § 90, 25 luglio 2002, si veda anche il richiamo dei principi pertinenti in Fayed c.Regno Unito, 21 settembre 1994, § 65, serie A n. 294-B).

Ebbene, nei casi sottoposti all’esame della Corte  la limitazione contestata, come correttamente osservato dallo Stato italiano,  è finalizzata a perseguire il legittimo scopo di garantire la par condicio creditorum. Il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive nei confronti del Comune sancito dalla normativa italiana rimane in vigore fino alla chiusura del procedimento di risanamento. Tuttavia, la durata del procedimento sfugge al controllo del ricorrente.

Il Comune di Benevento è stato dichiarato in stato di dissesto nel dicembre del 1993 e la Corte non è stata informata in merito alla data di  chiusura del procedimento. Pertanto, i ricorrenti, che hanno ottenuto l’accertamento giudiziale definitivo dei propri crediti nel 2003 e nel 2004, sono stati privati del  diritto di accesso al Tribunale, per un periodo troppo lungo e indeterminato. Agli occhi della Corte, non vi è proporzionalità tra il limite all’accesso al Tribunale e lo scopo perseguito.  Vi è stata, quindi, una violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che assorbe gli altri motivi di ricorso.

In applicazione dell’art.41 della Convenzione, la Corte ha condannato lo Stato italiano a risarcire i ricorrenti per i danni subiti.

Il Tribunale di Milano si pronuncia sui mutui con ammortamento alla francese

Con  sentenza del 30 ottobre 2013 anche il Tribunale di Milano ha affrontato la questione della legittimità dell’ammortamento alla francese. Il caso esaminato e affrontato dal giudice meneghino riguarda due contratti di mutuo nei quali, secondo la ricostruzione attorea, la pattuizione del tasso di interesse avrebbe violato  gli art. 1346 – 1418 – 1419 c.c.,  sarebbe stata  incompatibile con i principi di inderogabilità in tema di determinabilità dell’oggetto nei contratti formali, avrebbe violato  gli art. 1283 e 1284 c.c. , nonché la norma dell’art. 1322 c.c.  e l’art. 9, co. 3, della legge n. 192 del 1998 che vieta l’abuso di dipendenza economica. (altro…)

Una rassegna della recente giurisprudenza in materia di mutui

La contestazione delle clausole di un mutuo e la difesa rispetto a decreti ingiuntivi e procedure esecutive  promosse da Istituti di Credito in caso di inadempimento del cliente mutuatario  si basano, essenzialmente, su alcune fondamentali questioni che impegnano, con sempre maggiore frequenza, i giudici di merito.

In primo luogo, è ampiamente discussa la modalità di verifica dell’eventuale usurarietà dei tassi di interesse  corrispettivi e di mora che sono stati pattuiti nel contratto. Inoltre, si dibatte in merito alla illegittimità del sistema di ammortamento alla francese. Non mancano, poi, casi in cui si rileva la indeterminatezza e/o indeterminabilità dell’oggetto del contratto per effetto dell’equivoca pattuizione degli interessi. Né va dimenticata la questione relativa al superamento dei limiti di finanziabilità. (altro…)

Il Collegio di Coordinamento ABF e l’usurarietà degli interessi di mora

(di Alfonsina Biscardi) In un precedente contributo abbiamo avuto modo di fare un resoconto della giurisprudenza di merito che ha affrontato il problema della usurarietà degli interesse di mora, ad un anno di distanza dalla sentenza della Corte di Cassazione n.350 del 2013. Secondo alcuni commentatori, dalla citata sentenza si dedurrebbe il principio secondo cui gli interessi di mora concorrerebbero a determinare, assieme agli interessi corrispettivi, il costo complessivo dei mutui e delle operazioni finanziarie, in genere. Pertanto, ai fini della verifica dell’eventuale violazione della legge n.108 del 1996,  si dovrebbe procedere alla somma aritmetica dei due tassi convenzionalmente pattuiti e confrontarli  con il parametro rilevato trimestralmente, meglio noto come TEGM. Tutto ciò, malgrado sia noto che nella determinazione del TEGM, in base alle indicazioni fornite dalla Banca d’Italia, non si tenga conto degli interessi di mora. (altro…)

L’usurarietà dei tassi di interesse nei mutui

(di Alfonsina Biscardi) Risale agli inizi del 2013 la sentenza della Corte di Cassazione n.350 che ha dato avvio ad un acceso dibattito in merito alla verifica della usurarietà dei tassi di interesse nei mutui e, in generale, nelle operazioni di finanziamento. La sentenza, invero abbastanza stringata, dedica alla problematica della verifica dell’usurarietà dei tassi un breve passaggio. Infatti, si limita a ritenere fondata la censura mossa dal mutuatario ricorrente in Cassazione rispetto al metodo con il quale nei precedenti gradi di giudizio era stato effettuato il calcolo del tasso pattuito in raffronto con il tasso soglia. In tale calcolo non si era tenuto conto della maggiorazione di tre punti prevista a titolo  di mora. (altro…)

L’Autorità Garante per la privacy sulla rilevazione dei dati biometrici e la videosorveglianza negli istituti scolastici

Tre recentissimi provvedimenti dell’Autorità Garante per la privacy affrontano il problema della liceità dell’impiego di strumenti finalizzati alla rilevazione di dati biometrici e di sistemi di videosorveglianza in ambito scolastico.

In particolare, il Garante, a seguito di notizie rilevate a mezzo stampa e di specifiche segnalazioni, ha disposto ispezioni in tre istituti superiori.

A Taranto e a Martina Franca il problema sollevato dal personale docente e ATA riguardava l’installazione di un impianto di rilevazione delle impronte digitali e, dunque, attraverso esse dei dati biometrici, per controllare le presenze sul luogo di lavoro. Il Garante in più occasioni ha  individuato le condizioni in presenza delle quali il  trattamento di tali dati  può ritenersi lecito.

In particolare, l’Autorità ha precisato che tali dati possono essere, di regola, utilizzati solo in casi particolari, tenuto conto delle finalità perseguite dal titolare e del contesto in cui il trattamento viene effettuato, nonché – con specifico riguardo ai luoghi di lavoro – per presidiare l’accesso ad “aree sensibili” in considerazione della natura delle attività ivi svolte.

In applicazione  dei principi di necessità nonché di pertinenza e non eccedenza (art. 11, comma 1, lett. d), del Codice) dei trattamenti effettuati in relazione alle finalità perseguite, il Garante ha, di regola, ritenuto sproporzionato l’impiego generalizzato di dati biometrici per finalità di rilevazione delle presenze dei lavoratori (cfr. Provv. del 31 gennaio 2013 n. 38, doc. web n. 2304669; v. già le Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico del 14 giugno 2007, punto 7.1; questo orientamento è stato condiviso, proprio in sede di impugnazione di un’ordinanza-ingiunzione dell’Autorità, dal Trib. Prato, 19 settembre 2011). Infatti, a tale fine possono essere utilizzate idonee modalità alternative che non incidano sulla libertà e la dignità stessa dei lavoratori interessati.

Il titolare del trattamento, allo scopo di verificare il puntuale rispetto dell’orario di lavoro può disporre di altri sistemi, meno invasivi della sfera personale nonché della libertà individuale del lavoratore, che non ne coinvolgano la dimensione corporale (cfr. Provv. 31 gennaio 2013, n. 38; con specifico riferimento all’impiego di analoghi sistemi di rilevazione in ambito scolastico cfr. Provv.ti 30 maggio 2013).

Peraltro, il trattamento dei dati biometrici per la registrazione delle presenze, oltre ad essere in linea di principio sproporzionato, potrebbe comunque, in concreto, rivelarsi di scarsa utilità nel contrasto di eventuali casi di allontanamento dal servizio atteso che tale modalità di rilevazione delle presenze, in difetto di efficaci sistemi di controllo e vigilanza sull’effettiva (operosa) presenza dei lavoratori durante l’arco dell’intera giornata lavorativa, non è di per sé in grado di assicurare la concreta presenza sul luogo di lavoro di dipendenti infedeli.

Va, inoltre, considerato che nel rispetto del principio di correttezza il trattamento dei dati biometrici dedotti dalle impronte digitali può avvenire solo a seguito di un accordo con i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali e di una chiara esposizione delle modalità  peculiari del trattamento che si intende effettuare, nonché di una esauriente  informativa preventiva  agli interessati ai sensi dell’art. 13 del Codice. Infine il trattamento dei dati biometrici richiede la notificazione ai sensi dell’art. 37, comma 1, lett. a), del Codice.

Dalle ispezioni compiute presso gli istituti scolastici di Taranto e di Martina Franca è emerso che non ricorreva alcuna delle condizioni in precedenza indicate. Il Garante, in primo luogo, ha verificato che i dirigenti scolastici interessati non hanno fornito prova della necessità e pertinenza del trattamento. L’installazione del sistema di rilevazione delle impronte digitali era motivato dalla volontà di prevenire condotte abusive dei dipendenti. Tuttavia, non vi era prova che l’impiego di sistemi diversi e meno invasivi di rilevazione delle presenze come, ad esempio, quello del badge, non avessero funzionato. Anzi, in passato, in casi di ritardi e assenze ingiustificate dal lavoro, l’istituto scolastico era stato perfettamente in grado di contestare i relativi addebiti ai responsabili. Inoltre, non si era proceduto all’accordo con i lavoratori, non era stata fornita loro una soddisfacente informativa, né era stata effettuata la notificazione al Garante.

Con un altro provvedimento, invece, l’Autorità Garante ha affrontato anche il problema dell’impiego della videosorveglianza. In un istituto scolastico di Roma, all’insaputa del personale, erano presenti  alcune telecamere installate in tempi successivi. Rispetto ad una di queste collocata nel corridoio di accesso all’area amministrativa non erano state rese note, né le ragioni della sua installazione, né l’orario in cui essa era attiva, né se venivano effettuate registrazioni, né chi era a conoscenza delle password per accedere alle riprese o alle registrazioni. In breve, non erano stati apposti i dovuti cartelli di segnalazione e, men  che meno, era stata resa nota l’informativa dettagliata imposta dalla legge. Ulteriori telecamere, poi, effettuavano riprese di alcune aree del’’istituto frequentate da studenti durante il periodo di apertura del medesimo. Inoltre, era presente in istituto anche un impianto di rilevazione dei dati biometrici.

Le circostanze segnalate al Garante erano confermate dalle verifiche compiute dall’Ispettorato del Lavoro che, ai sensi dell’art.4 dello Statuto dei Lavoratori, disponeva l’ordine di disinstallazione dell’impianto di videosorveglianza e del sistema di rilevazione delle impronte digitali.

L’Autorità Garante, con il provvedimento in commento ha dichiarato che le rilevazioni effettuate dall’Istituto scolastico  con l’impianto di videosorveglianza posto presso gli uffici amministrativi non sono lecite in quanto violano la disciplina prevista dagli artt. 13, 114 del Codice e 4, comma 2, l. n. 300/1970.  Peraltro,  tale trattamento, essendo idoneo a riprendere anche gli studenti che frequentavano l’istituto, non risultava conforme a quanto stabilito dal Garante, nel provvedimento generale in materia di videosorveglianza dell’8 aprile 2010, atteso che  in ambito scolastico l’utilizzo di sistemi di videosorveglianza deve ritenersi ammissibile solo “in casi di stretta indispensabilità, al fine di tutelare l’edificio ed i beni scolastici da atti vandalici, circoscrivendo le riprese alle sole aree interessate ed attivando gli impianti negli orari di chiusura degli istituti; è vietato, altresì, attivare le telecamere in coincidenza con lo svolgimento di eventuali attività extrascolastiche che si svolgono all’interno della scuola”(punto 4.3.1).

Mi viene da considerare che, probabilmente, in un’ottica di uso efficiente delle scarse risorse finanziarie disponibili nelle scuole, anziché investire in costosi impianti  di videosorveglianza e di rilevazione delle impronte digitali, sarebbe stata più opportuna una seria consulenza e formazione in materia di tutela della  privacy.

Riflessioni a margine della sentenza della Corte di Cassazione n.18443 del 1 agosto 2013: il Disciplinare per l’utilizzo di internet e della posta elettronica sui luoghi di lavoro

La sentenza della Corte di Cassazione n. 18443 del 1 agosto 2013 mi dà lo spunto per soffermarmi su una questione che da tempo è oggetto di confronto e di dibattito. Nella mia esperienza di consulente per l’attuazione della normativa posta a tutela della privacy (d.lgs. n. 196 del 2003) ho potuto verificare che durante gli incontri formativi nei quali sono coinvolti datori di lavoro pubblici e/o privati e dipendenti, appassiona il problema della legittimità dell’accesso e del trattamento dei dati di navigazione in internet e, più in generale, dell’attività svolta al computer, dal dipendente.

La citata pronuncia della Corte di Cassazione, ha affrontato tale questione confermando quanto statuito nel merito dal Tribunale di Palermo  al quale era stato sottoposto un provvedimento con cui l’Autorità  Garante per la Tutela della Privacy aveva censurato la condotta di un datore di lavoro che aveva intimato il licenziamento per giusta causa ad un suo dipendente. Il lavoratore era stato licenziato perché durante l’orario di lavoro aveva navigato in internet, visitando siti che non avevano alcuna attinenza con l’attività lavorativa svolta e che avevano contenuto pornografico. Il controllo della navigazione internet da parte del datore di lavoro aveva comportato  l’accesso a dati sensibili relativi al lavoratore che, dunque, considerando illecito il trattamento degli stessi, si è rivolto all’Autorità garante segnalando l’accaduto.

Con apposito provvedimento del 02.02.2006 il Garante ha rilevato la natura illecita del trattamento dei dati emersi dal controllo dei log di connessione. Il datore di lavoro, infatti, non ha informato il lavoratore del controllo che non rientrava nelle ordinarie o straordinarie attività di manutenzione dei computer.  Inoltre, il trattamento dei dati sensibili emersi dalla navigazione non era legittimato nemmeno dall’art.26 comma 4, lett. c), del Codice, in quanto tali dati non erano necessari al datore di lavoro per far valere o difendere un proprio diritto in giudizio.

Infatti,  il lavoratore, per le mansioni svolte non aveva alcuna necessità di navigare in internet; pertanto il licenziamento avrebbe potuto essere validamente motivato per la semplice circostanza della navigazione, senza alcuna necessità di controllare i log di connessione e di accedere e trattare dati sensibili in violazione del codice a tutela della privacy. Peraltro, il diritto fatto valere dal datore di lavoro attraverso il licenziamento non era di rango pari a quello dell’interessato cioè non consisteva in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. In altri termini, la tutela del diritto datoriale non poteva giustificare una limitazione della tutela del diritto alla riservatezza del lavoratore.

Naturalmente il datore di lavoro si è rivolto al Tribunale di Palermo, ai sensi dell’art. 152 d.lgs. n. 196/2003. Il giudice di merito, con sentenza del  26.06.2008, ha confermato l’assunto dell’Autorità Garante e, dunque, ha concluso per l’inutilizzabilità dei dati posti a fondamento del  licenziamento. La vicenda giudiziaria si è conclusa con la sentenza n. 18443 del 1 agosto del 2013 con cui la Corte di Cassazione,  in primo luogo, ha effettuato alcune precisazione definitorie e, con particolare riferimento all’accesso a siti internet con contenuti pornografici, ha precisato che,  come statuito in sede penale,  oggetto di tutela da parte del d.lgs. n. 196/2003 «non sono solo i gusti sessuali di un individuo (astrattamente e genericamente considerati), ma, anche, le concrete scelte che, in questo campo, il soggetto va ad operare» (Sez. 5 penale, Sentenza n. 44940 del 2011).

Pertanto, è indubbio che sono dati personali idonei a rilevare la vita sessuale – «da intendersi come complesso delle modalità di soddisfacimento degli aspetti sessuali di una persona» (Sez. 5 penale, Sentenza n. 46454 del 2008) – quelli relativi alla “navigazione” in internet con accesso a siti pornografici.

In secondo luogo, la Corte di Cassazione, ha confermato quanto statuito dal Garante, prima, e dal Tribunale di Palermo, poi.

La legittima esigenza di monitoraggio  del datore di lavoro, dunque, ha avuto la peggio rispetto alla tutela della privacy del lavoratore.

Situazioni come quella che ha occasionato la pronuncia in esame, possono essere evitate facendo tesoro di quanto statuito dall’Autorità Garante per la privacy nelle Linee guida per posta elettronica e internet del 1 marzo del 2007.

In virtù del divieto sancito dall’art.4 dello Statuto dei lavoratori, il datore di lavoro, non può deliberatamente controllare l’attività svolta dal lavoratore durante l’orario di lavoro  attraverso i dati di navigazione in internet e, men che meno, installando appositi programmi volti solo a monitorare l’impiego del computer. L’accesso ai dati, tuttavia, può avvenire  in maniera casuale e non deliberata durante le sessioni di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’hardware e del software finalizzate a garantire la sicurezza dell’azienda e del lavoro in generale.

Il garante, dunque, precisa che  il datore di lavoro è chiamato a  promuovere ogni opportuna misura, organizzativa e tecnologica volta a prevenire il rischio di utilizzi impropri e, comunque, a “minimizzare” l’uso di dati riferibili ai lavoratori. Pertanto dal punto di vista organizzativo, è opportuno che:

« (…)

  • si valuti attentamente l’impatto sui diritti dei lavoratori (prima dell’installazione di apparecchiature suscettibili di consentire il controllo a distanza e dell’eventuale trattamento);
  • si individui preventivamente (anche per tipologie) a quali lavoratori è accordato l’utilizzo della posta elettronica e l’accesso a Internet; 
  •  si determini quale ubicazione è riservata alle postazioni di lavoro per ridurre il rischio di un loro impiego abusivo. »

Il datore di lavoro ha anche l’onere di adottare tutte le misure tecnologiche volte a minimizzare l’uso di dati identificativi.

I lavoratori e le loro rappresentanze sindacali, poi, devono essere informati delle potenzialità invasive delle apparecchiature informatiche che utilizzano per lo svolgimento del  proprio lavoro.

Infatti, in base al principio di correttezza, il trattamento dei dati relativi alla navigazione in internet e all’uso del pc del lavoratore rilevati casualmente dal datore di lavoro, deve essere ispirato ad un canone di trasparenza. Pertanto, «Grava sul datore di lavoro l’onere di indicare in ogni caso, chiaramente e in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati controlli. Ciò, tenendo conto della pertinente disciplina applicabile in tema di informazione, concertazione e consultazione delle organizzazioni sindacali.»

Il datore di lavoro, quindi, deve informare in maniera chiara e compiuta i lavoratori in merito a ciò che possono e che non possono fare attraverso l’uso del pc, della rete internet e della posta elettronica e degli eventuali controlli che possono avvenire in occasione della manutenzione ordinaria e straordinaria.

A tal fine,  secondo il Garante, può risultare opportuno adottare un Disciplinare interno redatto in modo chiaro e senza formule generiche, da pubblicizzare adeguatamente (verso i singoli lavoratori, nella rete interna, mediante affissioni sui luoghi di lavoro con modalità analoghe a quelle previste dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, ecc.) definito coinvolgendo anche le rappresentanze sindacali  nel quale siano chiaramente indicate le regole per l’uso di Internet e della posta elettronica, da sottoporre ad aggiornamento periodico. Tale Disciplinare doveva essere menzionato nel Documento Programmatico per la Sicurezza (DPS) che, com’è noto, è stato inopinatamente abolito nella forma descritta dal d.lgs. 196 del 2003.

«A seconda dei casi andrebbe ad esempio specificato:

  • se determinati comportamenti non sono tollerati rispetto alla “navigazione” in Internet (ad es., il download di software o di file musicali), oppure alla tenuta di file nella rete interna;
  • in quale misura è consentito utilizzare anche per ragioni personali servizi di posta elettronica o di rete, anche solo da determinate postazioni di lavoro o caselle oppure ricorrendo a sistemi di webmail, indicandone le modalità e l’arco temporale di utilizzo (ad es., fuori dall’orario di lavoro o durante le pause, o consentendone un uso moderato anche nel tempo di lavoro);
  • quali informazioni sono memorizzate temporaneamente (ad es., le componenti di file di log eventualmente registrati) e chi (anche all’esterno) vi può accedere legittimamente;
  • se e quali informazioni sono eventualmente conservate per un periodo più lungo, in forma centralizzata o meno (anche per effetto di copie di back up, della gestione tecnica della rete o di file di log );
  • se, e in quale misura, il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli in conformità alla legge, anche saltuari o occasionali, indicando le ragioni legittime –specifiche e non generiche– per cui verrebbero effettuati (anche per verifiche sulla funzionalità e sicurezza del sistema) e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni);
  • quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente;
  • le soluzioni prefigurate per garantire, con la cooperazione del lavoratore, la continuità dell’attività lavorativa in caso di assenza del lavoratore stesso (specie se programmata), con particolare riferimento all’attivazione di sistemi di risposta automatica ai messaggi di posta elettronica ricevuti;
  • se sono utilizzabili modalità di uso personale di mezzi con pagamento o fatturazione a carico dell’interessato;
  • quali misure sono adottate per particolari realtà lavorative nelle quali debba essere rispettato l’eventuale segreto professionale cui siano tenute specifiche figure professionali;
  • le prescrizioni interne sulla sicurezza dei dati e dei sistemi (art. 34 del Codice, nonché Allegato B).”»

 

La sentenza della Corte di Cassazione n. 18443 del 1 agosto 2013, dunque, fornisce l’occasione per ricordare che il Disciplinare per l’utilizzo di internet e della posta elettronica rappresenta un fondamentale strumento di prevenzione e non un ulteriore adempimento burocratico finalizzato solo a complicare la vita ai datori di lavoro. Predisposto con la partecipazione delle rappresentanze sindacali dei lavoratori e aggiornato periodicamente, è bene che il Disciplinare sia esplicato in una apposita sessione formativa durante la quale è possibile fornire tutti i chiarimenti tecnici e giuridici.

Inoltre esso deve essere adeguatamente  pubblicizzato e reso noto in modo che sia conoscibile a tutti coloro che stabilmente o,  a maggior ragione,  occasionalmente prestano collaborazione a favore del datore di lavoro. Laddove il datore di lavoro non vi provveda è assoluto interesse dei lavoratori sollecitarne l’adozione. Le regole non devono spaventare: esse aiutano ad evitare situazioni incresciose e problematiche.

La prescrizione del danno da violazione della privacy

Con la recentissima sentenza n.1229 del 2013 il Tribunale di Benevento ha deciso un contenzioso nel quale la parte attrice lamentava di aver subito un danno per effetto del trattamento illecito dei dati relativi al proprio conto corrente da parte di un istituto di credito. In particolare, la Banca avrebbe fornito al conduttore di un immobile di proprietà del correntista, gli estremi del suo nuovo conto corrente, in tal modo permettendogli di versare regolarmente il canone di locazione. Parte attrice, dunque, si doleva che il conduttore avesse effettuato il bonifico sul conto corrente appena acceso senza che la stessa gliene avesse comunicato gli estremi di cui, secondo il suo assunto, era venuto a conoscenza illecitamente in violazione della normativa relativa alla protezione dei dati personali. Pertanto, chiedeva l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento dei danni a carico dell’istituto di credito e del conduttore.

In base all’art.15 comma primo del d.lgs. n.196 del 2003 la violazione delle norme poste a tutela della riservatezza configura un’ipotesi di responsabilità ex art.2050 c.c. Infatti, tale norma dispone che chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno. Trattandosi di responsabilità extracontrattuale, in base all’art.2947 c.c., l’azione per l’accertamento della responsabilità e il conseguente risarcimento del danno si prescrivono in cinque anni decorrenti dal fatto illecito.

Nel caso deciso dal Tribunale di Benevento il presunto illecito trattamento dei dati del conto corrente da parte della banca, in base alla ricostruzione attorea,  sarebbe  avvenuto  nel settembre 2002. Tale trattamento è stato segnalato anche all’Autorità garante per la privacy ed è stato oggetto di una querela inoltrata al Comandante della locale stazione dei carabinieri. Tuttavia, la domanda è stata proposta solo nel giugno 2010, pertanto si è senz’altro prescritta. Il Tribunale, rilevato che la Banca ha sollevato tempestivamente l’eccezione di prescrizione, senza entrare nel merito, ha rigettato la domanda per intervenuta prescrizione precisando che la segnalazione all’Autorità Garante e la querela ai Carabinieri non costituiscono validi atti interruttivi del termine prescrizionale ai sensi dell’art. 2943 c.c. . Infatti si tratta di atti con i quali il danneggiato non ha esercitato il proprio diritto al risarcimento nei confronti dei presunti autori del fatto illecito obbligati al risarcimento.

Con riferimento all’altro convenuto cioè al conduttore dell’immobile, invece, il Tribunale ha deciso anche nel merito, considerando inammissibile l’eccezione di prescrizione tardivamente sollevata. Ebbene, la domanda proposta nei confronti del conduttore è stata rigettata per carenza di prova. Infatti, come, peraltro, confermato dalla Cassazione nella sentenza n. 8451 del 2012, in  applicazione  dei  criteri  stabiliti  dal  citato  articolo  2050 c.c.  in  tema  di  responsabilità  per  esercizio  di  attività  pericolosa,  la  presunzione  di  colpa  a  carico del danneggiante posta da tale norma, presuppone il previo accertamento dell’esistenza del  nesso eziologico – la cui prova incombe al danneggiato – tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non  potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che  non è ad esso in alcun modo riconducibile. Sotto il diverso profilo della colpa, incombe, invece, sull’esercente  l’attività pericolosa l’onere di provare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire il danno (Cass.5080/06; Cass. 19449/08; Cass. 4792/01; Cass. 12307/98). Nel caso di specie, dunque, l’attore non ha fornito alcuna prova del danno e del nesso eziologico con il presunto illecito trattamento dei dati.

Uniti nella diversità. I diritti delle persone LGBT

Questo saggio vuole aprire una discussione, sia storica sia attuale, sulla condizione delle coppie omosessuali in Europa e sulla possibilità di vedere difesi i loro diritti. In Italia, le persone lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transgender) sono, ancora oggi, “soggetti costituzionalmente deboli” per ragioni, prima ancora che di carattere sociale, culturali.

Le politiche europee, da tempo, svolgono un ruolo trainante verso la promozione e difesa di “nuovi diritti” miranti alle pari opportunità e alla parità di trattamento tra uomini e donne senza distinzione di orientamento sessuale, favorendo così la circolazione delle idee all’interno dell’Unione europea.

L’attenzione verso il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali sta cambiando i criteri di governance nazionali: “fare politica”, oggi, significa conoscere le varie realtà economico-sociali europee, avendo una buona conoscenza dei sistemi di welfare a livello internazionale.

In Italia, il riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali non è ancora un dato acquisito: è una conquista che ogni giorno deve essere rinnovata e difesa.

Dati del libro

TitoloUniti nella diversità. I diritti delle persone LGBT
Autore: Carollo Vincenzo
Anno: 2013
Editore: Torri del Vento
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Il ruolo dei Consorzi nella tutela delle DOP e delle IGP: l’attuazione della normativa comunitaria e nazionale

Prendo spunto dall’articolo “Agroalimentare, filiera da difendere” di Valerio Castronovo  pubblicato su Il Sole 24 ore del 29 u.s.  per fare alcune considerazioni in merito al ruolo svolto dai Consorzi  di tutela dei prodotti a denominazione e a indicazione geografica protetta, soprattutto con riferimento al vino.

Le prime righe dell’articolo sono eloquenti “Nel 2012 l’industria agroalimentare ha aumentato il suo export dell’8 per cento e detiene, nell’Unione europea, il record per numero di prodotti a denominazione d’origine protetta e a indicazione geografica protetta.” Buona parte del volume dell’esportazione agroalimentare è costituita proprio dal vino. Ma quanti consumatori sono davvero ben informati in merito al significato e all’importanza  delle  denominazioni d’origine (DO) e delle indicazioni geografiche ( IG) protette?

La denominazione d’origine e l’indicazione geografica sono strumenti impiegati per garantire una particolare tutela giuridica a prodotti con qualità, notorietà e caratteristiche connesse a determinate aree geografiche di cui hanno il diritto di portare il nome, in via esclusiva.

Le norme che disciplinano  tali denominazioni sono finalizzate ad assicurare un uso corretto del nome geografico, che identifica il territorio di origine, associato al nome del prodotto, tutelando i produttori e i consumatori da eventuali comportamenti sleali posti in essere da alcune imprese che operano in territori diversi. Si tratta di norme comunitarie e nazionali che concorrono a formare una disciplina articolata e complessa, spesso incerta, integrata da numerosi regolamenti e circolari ministeriali tra i quali è poco agevole districarsi per gli operatori del settore, che preferirebbero di gran lunga investire tutte le energie nel processo produttivo.

Peraltro, anche la burocratizzazione dei procedimenti di controllo tende a scoraggiare i produttori, inducendoli, in alcuni casi limite, persino, a preferire il declassamento dei vini certificati. Fortunatamente, però, si sta diffondendo l’idea che, unendo le forze, si possono raggiungere ottimi risultati anche in termini di tutela delle denominazioni e delle indicazioni e, dunque, della qualità.

La normativa comunitaria si snoda intorno al regolamento n.1234/2007 (meglio noto come regolamento unico OCM) in tema di “Organizzazione comune dei mercati agricoli e  disposizioni specifiche per taluni prodotti agricoli” tra cui, appunto, anche il vino. In attuazione della normativa comunitaria, il legislatore italiano ha adottato il d.lgs. n.61 del 2010 recante norme per la “Tutela delle denominazioni  di origine e delle indicazioni geografiche dei vini” seguito dai decreti applicativi. Tale decreto, dopo aver fornito la definizione di DOP e  IGP, disciplina l’impiego delle denominazioni e delle indicazioni, regola la procedura di riconoscimento  che ha come momento centrale la predisposizione di un disciplinare di produzione il cui contenuto è dettagliatamente indicato dal legislatore e introduce uno strutturato sistema di controllo e di vigilanza.

Il controllo è esercitato da autorità pubbliche e da enti privati certificati  che, per la loro stessa funzione, sono indipendenti dai diretti interessati ed è finalizzato a verificare il rispetto del disciplinare di produzione da parte dei viticoltori, dei vinificatori e degli imbottigliatori. L’attività di vigilanza, successiva al controllo e riferita alla fase della commercializzazione del vino nelle sue  molteplici forme, è esercitata dagli stessi produttori, attraverso i Consorzi di tutela. Infatti, l’art.17 del d.lgs. n. 61 del 2010 prevede che per ciascuna DO e IG possa essere costituito, ad iniziativa dei soggetti interessati, un Consorzio di tutela  che può avanzare proposte di disciplina regolamentare e svolgere compiti consultivi relativi al prodotto interessato e collaborativi, nell’applicazione della legge. Inoltre, può espletare attività di assistenza tecnica, di proposta, di  studio, di valutazione economico-congiunturale della DOP o IGP,  nonché ogni altra attività finalizzata alla valorizzazione del  prodotto sotto il profilo tecnico dell’immagine.

Il Consorzio collabora, secondo le direttive impartite dal Ministero,  alla tutela e alla salvaguardia della DOP o della IGP da abusi, atti  di concorrenza sleale, contraffazioni, uso improprio delle  denominazioni tutelate e comportamenti comunque vietati dalla legge e coopera  con le regioni e le province autonome per lo  svolgimento delle attività di loro competenza. Infine, svolge  le funzioni di tutela, di promozione, di valorizzazione, di informazione del consumatore e di cura generale degli interessi della relativa denominazione, nonché azioni di vigilanza da espletare  prevalentemente alla fase del commercio, in collaborazione con  l‘Ispettorato Centrale della tutela della Qualità e Repressione  Frodi dei prodotti agro-alimentari (ICQRF) e in raccordo con le regioni e le province autonome.

Come si evince dal combinato disposto dei commi I e IV dell’art.17 del d.lgs. n.61 del 2010, i Consorzi di tutela che rappresentino almeno il 40 per cento dei viticoltori e almeno il 66  per cento della produzione certificata di competenza dei vigneti dichiarati a DO o IG negli ultimi 2 anni, possono conseguire il riconoscimento erga omnes da parte del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (MIPAAF). In tal modo essi possono esercitare le proprie funzioni istituzionali ponendo in essere atti vincolanti per tutti i soggetti inseriti nel sistema dei controlli della DOP o IGP, seppur non aderenti al Consorzio stesso.

Come si è detto, l’attività di vigilanza é esplicata dai Consorzi, prevalentemente, nella fase del  commercio e consiste nella verifica che le produzioni certificate  rispondano ai requisiti previsti dai disciplinari e che, prodotti  similari, non ingenerino confusione nei consumatori e non rechino danni alle produzioni DOP e IGP.

Tale attività è svolta dai Consorzi, attraverso gli agenti vigilatori che, come disposto dal Decreto dipartimentale del 06.11.2012,  instaurato un rapporto di lavoro con i Consorzi stessi, sono iscritti all’Albo nazionale degli agenti vigilatori o all’Albo degli agenti vigilatori con qualifica di agente di pubblica sicurezza, tenuti presso il MIPAAF. Dalla rassegna normativa che precede si evince agevolmente che i Consorzi di tutela che riuniscono i soggetti inseriti nel sistema dei controlli delle DO e delle IG, soprattutto quando hanno il riconoscimento erga omnes, svolgono un ruolo fondamentale.  E i risultati finora raggiunti dall’attività di alcuni di essi sono molto interessanti, soprattutto con riferimento alla tutela delle DOP e delle IGP in ambito internazionale dove la salvaguardia delle denominazioni è meno efficace perché passa attraverso la stipula e l’adesione ad accordi multilaterali  con ciascuno dei Paesi nei quali il prodotto italiano è esportato.

A tal proposito è emblematica l’iniziativa assunta dal Consorzio della Docg Asolo Prosecco Superiore, dal Consorzio della Docg Conegliano Valdobbiadene Prosecco Superiore e dal Consorzio di tutela della Doc Prosecco che agli inizi del mese di Luglio 2013 hanno incontrato l’Intergruppo Vini del Parlamento Europeo al fine di sollecitare la conclusione di accordi volti a proteggere più efficacemente la loro denominazione nei Paesi Terzi. Questi consorzi,  peraltro, hanno deciso di unire le proprie forze e creare una società che tuteli in modo unitario e rappresentativo a livello internazionale le tre realtà consortili del Prosecco. Inoltre hanno costituito una autentica “pattuglia” di agenti vigilatori alcuni dei quali in condivisione con il Consorzio di tutela del Prosciutto S. Daniele.

La strada da fare, tuttavia, è ancora molto lunga e impervia. Infatti, l’elenco aggiornato al  luglio 2013 dei Consorzi di tutela vini pubblicato dal MIPAFF comprende  numerosi enti, la maggior parte dei quali, per ragioni di bilancio, non riesce ad essere effettivamente operativo. Inoltre, spesso accade che le iniziative assunte dai Consorzi non siano sufficientemente pubblicizzate e rese note ai consumatori che, invece, è doveroso che sappiano quanto impegno c’è dietro il conseguimento e la tutela di una denominazione e di una indicazione geografica protetta.

In questo contesto è senz’altro degna di nota l’iniziativa formativa promossa in maniera pioneristica dal Sannio Consorzio Tutela Vini presieduto da Libero Rillo e diretto da Nicola Matarazzo che ha sede a Benevento e  si occupa della valorizzazione, tutela e cura generale degli interessi connessi alle denominazioni Aglianico del Taburno DOCG DOP, Falanghina del Sannio DOP e  Sannio DOP.

Il Consorzio, costituito fin dal 5 febbraio 1999, conta quasi 400 soci, ha conseguito il riconoscimento erga omnes con D.M. n.6965 del 19 aprile 2013 pubblicato in G.U. n.104 del 6 maggio 2013 e, in un’area geografica che, da un punto di vista economico, non è certo tra le più sviluppate del Paese, ha svolto un’intensa attività finalizzata a far sì che le proprie denominazioni e indicazioni raggiungessero il massimo livello di qualità. I consorziati, poi, non volendo rischiare di vedere i loro sforzi vanificati da comportamenti scorretti di altri operatori presenti sul mercato,  hanno deciso di istituire la Sannio Wine & Food Academy e hanno predisposto un percorso didattico specifico al fine di formare, con la collaborazione del MIPAAF, gli agenti  vigilatori.

L’attività svolta da tali agenti non è molto nota. Essa consiste nel dare esecuzione ad un programma di verifiche predisposto dal Consorzio e mirato a vigilare sulla  fase  di commercializzazione delle denominazioni tutelate, nelle sue diverse forme. L’agente vigilatore, che può acquisire anche la qualifica di agente di pubblica sicurezza, deve innanzitutto controllare l’etichetta apposta sulle bottiglie di vino che si fregiano della DOP e dell’IGP del Consorzio di riferimento e verificare che l’uso di tali denominazioni sia legittimo. Inoltre deve segnalare alle autorità competenti ogni indizio di illecito nella vendita del vino DOP o IGP. Si tratta di una sorta di 007 che, per conto del Consorzio, svolge un’attività sia preventiva, sia di rilevazione di eventuali illeciti. Una nuova figura professionale che, dotata del necessario bagaglio di conoscenze giuridiche, è destinata a svolgere un ruolo fondamentale per la tutela dei produttori e dei  consumatori in un momento in cui la crisi economica impone di investire soprattutto sulla qualità.