Nell’articolo “Una rassegna della recente giurisprudenza in materia di mutui” si rilevava come nel 2012 il Tribunale di Venezia, condividendo quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9219 del 1° settembre 1995, avesse dichiarato la nullità del mutuo fondiario per superamento del limite di finanziabilità ex art.38 II comma TUB. Secondo il Tribunale la disciplina del credito fondiario è posta a tutela, non solo degli interessi del ceto bancario, ma anche dell’interesse al regolare andamento dell’economia. Essa, dunque, è una norma di validità imperativa e la sua violazione comporta la nullità del mutuo fondiario ai sensi dell’art.1418 c.c. A partire da tale sentenza ha cominciato a svilupparsi il contenzioso relativo al superamento del limite di finanziabilità nei mutui fondiari.
In tale contesto si colloca la sentenza n. 26672 del 28 novembre 2013 con la quale, la Corte di Cassazione, mutando il proprio originario orientamento, ha affermato che dalla violazione del limite di finanziabilità pari all’80% del valore dell’immobile, non possa discendere la nullità del contratto di mutuo fondiario per contrarietà a norme imperative posto che l’art.38 TUB non incide sul sinallagma contrattuale, ma investe esclusivamente il comportamento della banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale ivi stabilito per tutelare la propria stabilità patrimoniale. Il superamento del limite, quindi, comporta solo la violazione di norme di buona condotta e l’irrogazione delle sanzioni previste dall’ordinamento bancario, senza ingenerare una causa di nullità, parziale o meno, del contratto di mutuo. Del resto, far discendere dalla violazione di quel limite la conseguenza della nullità del mutuo ormai erogato e la perdita dei relativi benefici (ipoteca di primo grado su immobili del mutuatario a garanzia del credito; facoltà di eleggere domicilio, ai fini dell’iscrizione ipotecaria, presso la propria sede; consolidamento breve dell’ipoteca fondiaria, non soggetta a revocatoria fallimentare se iscritta almeno dieci giorni prima della pubblicazione della sentenza di fallimento del debitore concedente o del terzo datore di ipoteca; esenzione dalla revocatoria fallimentare dei pagamenti effettuati dal debitore poi dichiarato fallito; esonero dall’obbligo di notificazione previa del titolo esecutivo; facoltà di proporre o di proseguire il processo esecutivo anche in caso di fallimento del debitore) condurrebbe al paradossale risultato di pregiudicare ancor più il valore della stabilità patrimoniale della Banca che la norma intende proteggere.
A tali sentenze sono seguite altre pronunce da parte dei giudici, sia di merito, sia di legittimità sulle quali ci si è sommariamente soffermati nell’ articolo “Mutuo fondiario: gli effetti del superamento del limite di finanziabilità dell’80%”.
In particolare, la Corte di Cassazione con la sentenza n.17352 del 2017 ha ripreso quanto stabilito nel 1995. La norma dell’art.38 II comma TUB risponde a una necessità di analitica regolamentazione dettata da obiettivi economici generali, attesa la ripercussione che i mutui fondiari possono avere sull’economia nazionale. Essa, dunque, non tutela la stabilità patrimoniale della singola Banca, ma persegue interessi economici nazionali pubblici e contiene una regola di validità del contratto e non soltanto una regola di comportamento. Pertanto, il mutuo fondiario, se stipulato in violazione dell’art. 38 II comma TUB è nullo. E’ fatta salva, tuttavia, la possibilità di conversione del mutuo fondiario che superi il limite di finanziabilità, in un ordinario finanziamento ipotecario, sempre che il creditore ne faccia espressa richiesta nella prima difesa utile.
Nella giurisprudenza di legittimità e, quindi, anche di merito è emerso un contrasto tra i due opposti orientamenti.
La questione è stata rimessa alle Sezioni Unite che, con la sentenza n. 33719 del 16 novembre 2022. Premesso ed assodato che non esiste una norma che espressamente sancisca la nullità del mutuo fondiario per violazione del limite di finanziabilità e che non possa configurarsi una nullità testuale del contratto, le Sezioni Unite sono state chiamate a verificare se sia ammissibile una nullità virtuale per violazione di norma imperativa ai sensi dell’art.1418 c.c.
La Corte ribadisce che le norme imperative sono quelle che attengono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale delineato dalle parti cioè le norme inderogabili concernenti la validità del contratto e vanno distinte dalle regole di comportamento che attengono ad elementi meramente specificativi, integrativi o accessori di uno dei requisiti del contratto.
Ebbene, secondo le Sezioni Unite, dall’analisi della norma dell’art.38 II comma TUB emerge che la stessa non può qualificarsi come norma imperativa e inderogabile in quanto, pur conferendo alla Banca d’Italia il potere di determinare la percentuale massima del finanziamento, non prevede un ulteriore elemento costitutivo del contratto, ma si limita a specificarne l’oggetto, stabilendo che debba possedere una determinata caratteristica di tipo quantitativo.
L’art.38 II comma TUB, dunque, secondo le Sezioni Unite non ha contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati per potersi definire una norma imperativa. Pertanto, dalla sua violazione non può farsi discendere la nullità del contratto.
La sentenza in esame aggiunge, altresì, che tale conclusione è avvalorata anche dall’interesse tutelato e leso, che si ritiene non sia identificabile automaticamente nelle ripercussioni che tali tipologie di finanziamenti possono avere sull’economia nazionale. Secondo le Sezioni Unite, con la norma in esame il legislatore ha voluto favorire la mobilizzazione della proprietà immobiliare ampliando la possibilità di far ricorso ai finanziamenti, contemperandola, però, con l’esigenza di contenere il rischio per le banche erogatrici a tutela della loro stabilità finanziaria. Tale esigenza di garanzia della sana a prudente gestione delle banche non può essere oggetto di una norma imperativa e non verrebbe soddisfatta laddove il mutuo dovesse essere dichiarato nullo con la conseguente perdita dei benefici della fondiarietà.
Quindi il superamento del limite di finanziabilità non determina alcuna nullità del mutuo, producendo solo conseguenze disciplinari nei confronti dell’istituto di credito che attengono al rapporto con l’autorità di vigilanza.
Il mutuo resta valido e non può essere in alcun modo convertito in un diverso modello negoziale (mutuo ordinario) non voluto dalle parti, seppure appartenente alla stessa famiglia o genus contrattuale.
Infatti, se le parti qualificano un contratto come «mutuo fondiario» sussistendone le caratteristiche essenziali identificative, col deliberato proposito di regolare il rapporto secondo la pertinente disciplina, il giudice, in via di principio, non può disattendere la loro qualificazione a favore di una qualificazione diversa ritenuta più adeguata secondo parametri normativi astratti, a meno che la stessa qualificazione non sia specificamente contestata in giudizio e quindi rimessa al giudice o ricorrano le condizioni per la conversione del contratto.
Resta fermo il fatto che, a differenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite, la sopravvalutazione degli immobili in fase di concessione dei mutui fondiari non può essere definita come la conseguenza di una mera inconsapevolezza degli Istituti di credito ma è una vera e propria prassi, come, peraltro, dimostra il volume del contenzioso che si è generato. L’eventuale sanzione disciplinare da parte dell’autorità di vigilanza, quindi, non è certo sufficiente ad evitare una prassi che mette a rischio la stabilità finanziaria delle banche e, attraverso essa, concorre a minacciare anche la già precaria economia nazionale.